Così è la guerra
Oggi un editoriale di Repubblica, titolato “Il ritratto di un paese cattivo”, iniziava ponendosi una domanda: “Ma come è potuto succedere così velocemente?”
La risposta è semplice: siamo stati, e siamo, l’obiettivo di una guerra: la guerra psicologica.
di Solange Manfredi
Sia ben chiaro, l’attacco non è stato sferrato oggi. Oggi assistiamo solo ad una accelerazione dell’attacco.
Ed è un attacco sferrato con le armi più letali – come ci ricorda il Generale Mini: «le armi della guerra psicologica… fanno più vittime innocenti di qualsiasi guerra convenzionale» perché i suoi effetti possono causare milioni di morti ed affezioni psichiche in grado di condizionare intere generazioni – e nel modo più subdolo e pericoloso possibile. Infatti “la guerra psicologica è sviluppata e sostenuta da interessi così potenti da rendere la sua individuazione un’attività specifica e, dal momento che non agisce alla luce del sole, viene spesso individuata solo in seguito al raggiungimento dei suoi obiettivi”.
Naturalmente a molti esperti del settore sia l’attacco, che la sua pericolosità, non sono passati inosservati: solo pochi mesi fa oltre 600 psicologi si sono rivolti, con un appello accorato, addirittura al Presidente della Repubblica Mattarella.
Purtroppo non pare essere servito a molto, e forse era già troppo tardi.
Oggi infatti, a mio parere, gli obiettivi più importanti e strategici sono già stati attaccati e, purtroppo, conquistati.
In estrema sintesi la guerra psicologica consiste nella propaganda e in quelle azioni psicologiche che, attraverso la creazione di bisogni, frustrazione, insicurezza e suscitando diffidenza, sospetto, paura, odio, orrore, ecc., spingono l’obiettivo verso il comportamento desiderato.
Questo tipo di manipolazione, se da un lato permette di raggiungere in breve il risultato desiderato, dall’altro, irresponsabilmente, causa aggressività e paranoia nella popolazione: affezioni della psiche estremamente contagiose che si diffondono rapidamente e che, come già successo in passato, possono venire sfruttate da leader irresponsabili per giungere al potere con conseguenze devastanti:
“Quando gli individui tendono a perdere i loro punti di riferimento, una delle risposte più frequenti consiste nel ripiegarsi su quella che credono essere la loro identità comune, così da far fronte alla situazione che li disorienta… la pressione identitaria può diventare tanto più potente quanto più coloro che la incoraggiano dispongono effettivamente degli strumenti del potere… la sua dinamica è effettivamente politica: coloro che credono che il loro paese possa uscire dalla crisi attraverso questa “soluzione identitaria” contano di imporla all’insieme del corpo sociale. Insomma, si servono della potenza emozionale dell’identità per suscitare l’adesione del popolo e, dunque, conquistare o conservare il potere, indipendentemente dal fatto che questa carta per manipolare le emozioni si chiami nazionalismo, razzismo o appartenenza etnica” (Jacques Sèmelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi, Torino, 2007).
PER MAGGIORI APPROFONDIMENTI SULLA GUERRA PSICOLOGICA CLICCA QUI
Può interessarti anche: