Per non dimenticare il Muro
La storia che vi racconto oggi potrebbe benissimo essere una variazione berlinese del celebre motto del filosofo spagnolo George Santayana, “coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”.
di Piero Cammerinesi
E a Berlino il passato vuol dire il Muro.
Un abominio della storia che ha diviso per quasi tre decenni non solo una città, ma due mondi profondamente diversi e in guerra tra loro.
La tristemente nota “cortina di ferro”.
Basta dire che mentre i berlinesi dell’Ovest lo chiamavano semplicemente Mauer, muro, all’Est veniva pomposamente chiamato antifaschistischer Schutzwall, vale a dire barriera di protezione antifascista.
Per attraversare questo muro – lungo 155 chilometri – persero la vita 200 persone ma esso non impedì a oltre 5.000 berlinesi dell’Est di passare all’Ovest.
Finché, nel 1989, grazie ad una serie di fortunati eventi simultanei che permisero al cancelliere Helmut Kohl di “cogliere l’attimo fuggente” della storia, il muro cadde.
Dopo la riunificazione entrarono in azione i cosiddetti Mauerspechte, letteralmente “picchi del muro” – che ne volevano un pezzo come souvenir – che iniziarono a demolirlo. Poi arrivarono le ruspe e del muro della vergogna non rimasero in piedi che 6 tratti, quelli in cui dove c’erano i murales più belli, quelli dipintivi dai giovani dell’Ovest. Così si decise di non abbatterli ma mantenerli come monumento, a perenne memoria di uno dei periodi più oscuri della storia tedesca.
Affinché non abbia a ripetersi.
Forse la parte più interessante è proprio quella della cosiddetta East Side Gallery sulla Mühlenstraße, lunga più di 1 km, che fu dipinta dopo il crollo del muro, e che viene considerata la più grande galleria di pittura all’aperto del mondo.
Ora però – e qui veniamo alla nostra storia – così come la memoria del singolo uomo, anche la memoria della società tende a perdere colpi, a dimenticare quello che gli fa comodo non ricordare.
Ecco che allora il comune di Berlino ha recentemente rilasciato dei permessi di costruzione di alcuni edifici residenziali lungo lo Sprea e questo progetto, se realizzato, porterebbe alla demolizione del tratto di muro della East Side Gallery.
Ma così come nella nostra vita c’è fortunatamente sempre chi ci ricorda quello che ci dimentichiamo, così anche nella società c’è chi si fa carico di mantenere viva la memoria collettiva.
Ecco che allora alcuni membri della East Side Gallery sono scesi in campo contro questi permessi di costruzione.
E per farlo hanno scelto un sistema originale: hanno rivestito mezzo chilometro di muro con della carta bianca per nascondere i murales e far sorgere in chi vi passa davanti la domanda: “Cosa sarebbe questo posto senza più il muro? Cosa sarebbe Berlino senza più i graffiti dipinti prima dell’unificazione delle due Germanie? Cosa sarebbe la Germania senza il suo passato?”
“Il muro è diventato uno dei simboli di Berlino ed è importante conservarlo per mantenere vivo il ricordo della divisione e della storia di questa città” ci dice uno degli attivisti in cima a una scala, intento a stendere i rotoli di carta.
E la vecchietta che ha visto il suo mondo spaccato in due in trent’anni di muro e che porta in sé le ferite di quella brutale divisione, si ferma, alza lo sguardo e annuisce tristemente, forse pensando a chi non ha potuto incontrare per decenni a causa di un abominio che non va dimenticato.
Perché non debba ripetersi.
Foto di Gianfilippo De Rossi