La riforma costituzionale – di Solange Manfredi

CIR Costituzione Russeau

La riforma costituzionale

di Solange Manfredi

Iter della riforma.

Come diceva Rousseau, «il popolo non si corrompe, ma si inganna».

E quello di cui oggi parliamo è un grande inganno, il più grande inganno che sia mai stato attuato dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.

Meglio, quello che oggi si sta cercando di portare a termine è un vero e proprio “colpo di stato” mascherato, silenzioso e, proprio per questo, più pericoloso.

Perché è un attentato ai principi fondamentali della nostra Repubblica sanciti dalla nostra costituzione, a partire dall’art. 1. Costituzione.

L’immaginario collettivoconsidera gli stravolgimenti dei sistemi politici comefenomeni eclatanti e violenti che si verificano improvvisamente dall’oggi al domani. Niente di più sbagliato. In realtà il colpo di stato più pericoloso è quello «silenzioso» e «lento» costituito da una serie di scelte politiche che, nel lorocomplesso, tendono a stravolgere l’ordinamento costituzionale. (Federico Del Giudice)

Attenzione, perché qualsiasi forma diaggressioneai valori costituzionali è identificabile con ilreato di attentato alla Costituzione che, seppure riferito, ex art. 90 Cost, al solo Presidente della Repubblica, deve ritenersi esteso a qualsiasi forza oleaderpolitico che violi l’assetto parlamentare delineato dal Costituente.

A fronte di questa affermazione qualcuno di voi potrebbe domandarsi. Se è così perché la magistratura non interviene dal momento che, nel codice penale, sono previste le figure di attentato agli organi costituzionali?

Perché nel 2006, con la legge n. 85 tutte le figure di attentato sono state cambiate. Mentre prima veniva prevista la possibilità di attentato agli organi costituzionali anche attraverso l’abuso di potere, esattamente quello che sta succedendo oggi, dal 2006 si commette reato, cioè attentato, solo se si compie atti violenti. Si è, insomma, depenalizzato, l’attentato silenzioso, attuato cioè attraverso l’abuso di potere.

Ma quello che sta avvenendo è un vero e proprio attentato e, proprio per questo, non c’è mai stato un movimento tanto attivo, seppur silenziato dai media, di costituzionalisti, ex Presidenti e Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, magistrati, ma anche semplici cittadini, nel denunciare il pericolo che questa riforma costituzionale rappresenta per la nostra democrazia.

Ecco perché oggi è più importante che mai parlare di Costituzione. Parlarne da giuristi, ma anche da cittadini. Ed allora parliamone, sveliamo l’inganno per poterci opporre, consapevolmente, a questo colpo di stato.

Iniziamo con il ricordare la struttura della nostra costituzione.Tavolasinottica

Il diritto è fatto per tener conto degli uomini e proteggerli (Giustiniano)

Questo è il fine del diritto.

Ed il diritto è un complesso di leggi. La prima, la fondamentale legge di uno Stato è la sua Costituzione. La Costituzione è la legge fondamentale, è la base su cui viene costruita la vita di uno Stato, è l’insieme delle regole alle quali deve conformarsi il potere, è il limite che viene dato al potere. Perché il potere, senza limiti, tende a diventare, naturalmente, dittatura.

La Costituzione italiana, entra in vigore il 1 gennaio 1948 (prima vigeva lo Statuto Albertino, 18481) si compone di 139 articoli cui si aggiungono 18 Disposizioni transitorie e finali.

La Costituzione riconosce i diritti spettanti ai cittadini, e detta le regole entro le quali il potere, lo Stato, può e deve agire. È, infatti, la Costituzione ad indicare al potere quali sono gli interessi pubblici ed i fini da raggiungere, nonché i modi ed i mezzi attraverso cui perseguirli.

Vediamo come.

I primi dodici articoli del testo costituzionale sono dedicati ai principi fondamentali della Repubblica.

In questi 12 articoli sono enunciati i principi fondamentali della Repubblica, i quali rappresentano il fondamento su cui poggiano tutte le altre norme dell’ordinamento. Tali norme non disciplinano specifiche materie, ma esprimono un complesso di valori e di idee che costituiscono gli irrinunciabili criteri che devono guidare il potere nella sua azione. (Federico Del Giudice) Cioè, lo Stato, o meglio, chi esercita il potere, ha l’obbligo di assumere come obiettivo primario della propria azione la tutela di questi diritti.

Questi valori sono:

  • democrazia,
  • partecipazione dei cittadini alla vita politica, economica e sociale del Paese,
  • riconoscimento e rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali (dignità, salute, ambiente, libertà, solidarietà, laicismo, ecc..
  • principio di uguaglianza e diritto al lavoro come mezzo per affermare la propria personalità,
  • il riconoscimento delle autonomie locali (Comuni, Province, Regioni etc.) nel rispetto dell’unità e indivisibilità della Repubblica (principio del pluralismo territoriale)
  •  il rifiuto della guerra come mezzo di offesa agli altri popoli.

Sarebbe importante analizzare, e capire veramente, cosa vi è scritto nella Costituzione, e quali sono i diritti che questa legge fondamentale ci riconosce, ma il tempo ci è tiranno. Qui basti accennare al primo articolo, articolo che, se capito e compreso veramente, sarà la nostra bussola per capire la gravità di questa riforma che può essere definita, senza timore di smentita, un vero e proprio colpo di stato.
SLIDE
Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Cerchiamo di capire cosa significa questo articolo.

Analizziamolo.

L’Italia è una Repubblica democratica.

L’espressione «Repubblica democratica» indica una forma di governo, la nostra forma di governo, in cui tutte le cariche pubbliche sono espressione — diretta o indiretta — del consenso del popolo che è l’esclusivo titolare della «sovranità”

La Costituzione prevede due forme attraverso cui realizzare la partecipazione del popolo al governo dello Stato (Federico Del Giudice):

  • la democrazia rappresentativa, in cui il corpo elettorale — composto da cittadini maggiorenni e con diritto di voto — elegge i propri rappresentanti al Parlamento e ai Consigli degli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni); Questo principio, lo anticipiamo, poi lo analizzeremo meglio, è già stato violato sia con il porcellum che, successivamente con l’italicum
  • la democrazia diretta, che consente un coinvolgimento più immediato dei cittadini nelle decisioni che riguardano tutta la collettività, come nel caso del referendum abrogativo, tramite il quale gli elettori si pronunciano direttamente sull’eventuale abrogazione di una legge vigente o di una parte di essa. (questo principio viene pesantemente limitato con la riforma che oggi andiamo ad analizzare)

Andiamo avanti:

E’ fondata sul lavoro.

Questo principio, detto anche principio lavorista, è il fondamento del nostro ordinamento. Perché e cosa significa?

Affermare che la nostra è una «Repubblica fondata sul lavoro» significa che è compito dello Stato perseguire una politica di promozione e di tutela di ogni tipo e forma di attività lavorativa.

Questo perché il lavoro, costituisce la fonte di sostentamento dell’individuo, e quindi rappresenta il mezzo indispensabile per consentire a ciascuno di essere libero, autonomo e indipendente.

Il diritto al lavoro, quindi, rappresenta il presupposto per l’esercizio di ogni altro diritto costituzionalmente garantito e il fondamento dell’intero ordinamento repubblicano.

Al diritto al lavoro, però, corrisponde anche al «dovere» di lavorare, il che non significa costringere il cittadino a lavorare, né limitare la libertà di scegliere l’attività da svolgere, ma rappresenta un monito per gli individui a non ricorrere a forme di «parassitismo economico e sociale». Vedremo poi cosa significa, e perché tale principio è stato posto a fondamento del nostro Stato.

L’ultimo comma prevede: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Questo comma, che afferma che il popolo deve esercitare la sovranità, intesa quale potere supremo di governo, «nelle forme e nei limiti della Costituzione, connota il nostro ordinamento come Stato di diritto, e prescrive che sia i cittadini sia i pubblici poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) sono sempre tenuti al rispetto della Costituzione, ai suoi principi e ai diritti inviolabili da essa sanciti.

Anche questo principio viene violato tutti i giorni. Tutti i giorni, infatti, vengono emanate leggi incostituzionali, e si pongono in essere al Parlamento, procedure per i lavori che violano la costituzione – decretazione d’urgenza, fiducia, ecc.). Lo vedremo poi meglio.

Insomma, l’art. 1 è il principio cardine del nostro Stato, sancendo che:

  • è una Repubblica democratica, cioè , si fonda esclusivamente sul consenso popolare e sulle regole da esso dettate direttamente (ad es. referendum) o indirettamente (attraverso l’elezione dei propri rappresentanti nelle assemblee legislative).
  • è uno Stato di diritto, affermando il primato della Costituzione, che costituisce il «manifesto» dei principi e dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino (cd. democrazia costituzionale).

La costituzione, dunque, stabilisce il primato della persona, e dei suoi diritti fondamentali, sullo Stato. Cioè il benessere e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini è un vero e proprio parametro per valutare la legalità dell’attività dello Stato. Cosa significa questo? Che tutte le volte che lo Stato, con delle sue decisioni, viola la tutela e il benessere del cittadino sappiamo già che sta compiendo una azione illegale. Importante saperlo no?

Ed ora, accennato a ciò, passiamo ad esaminare la riforma.

La proposta di revisione, che riguarda 47 articoli della Costituzione, 1/3 della nostra Carta, modifica le parti relative alla seconda parte della nostra Costituzione, quelle relative all’ordinamento della Repubblica:

Parte II

– titolo I: il Parlamento, le Camere e la formazione delle leggi;

– titolo II: il Presidente della Repubblica;

– titolo III: il Governo, la PA, il CNEL;

– titolo V: le Regioni, le Provincie e i Comuni;

– titolo VI: la Corte Costituzionale.

Le modifiche di maggiore interesse riguardano tre macro settori, così individuabili:

– composizione, elezione e funzioni del Senato;

– superamento del bicameralismo perfetto e riparto della competenza legislativa;

– competenza legislativa delle Regioni;

Iniziamo subito con il dire che esistono alcuni criteri per verificare la validità di una norma: la legittimità di chi l’ha proposta, legittimità di chi l’ha prodotta, le procedure che si sono adoperate e la coerenza del nuovo contenuto introdotto con i principî costituzionali.

Legittimità di chi l’ha proposta: Governo e non Parlamento.

Legittimità di chi l’ha prodotta: Parlamento illegittimo.

Procedure adoperate: Violazione dell’art. 72, 4° comma Cost. e art. 85 bis Regolamento Camera (applicato in via analogica al Senato).

Coerenza con i Principi costituzionali: nessuna coerenza e violazione di più articoli della Costituzione, a partire dall’art. 1 Cost.

Legittimità di chi l’ha proposta.
Il disegno di legge per le modifiche alla Costituzione è stato proposto su iniziativa del Governo, cioè attraverso un disegno di legge governativo, non del Parlamento. Ma, la nostra costituzione non prevede che le modifiche costituzionali vengano proposte, o imposte, dai Governi. E qui c’è già la prima anomalia.

Ma, andiamo avanti.

Legittimità di chi l’ha prodotta.
La Costituzione del 1947 fu approvata da un’Assemblea Costituente scelta e legittimata dai cittadini.

Questa riforma costituzionale è stata invece approvata da un Parlamento dichiarato illegittimo da una sentenza della Corte Costituzionale (sent. 1 del 2014) perché, a causa della legge elettorale con cui è stato eletto, Porcellum, è stato giudicato non rappresentativo della volontà popolare.

Dunque, 148 deputati eletti con il premio di maggioranza del Porcellum (dichiarato incostituzionale), siedono illegittimamente in Parlamento. Davanti a questa anomalia che fare? I problemi che si ponevano erano molti. Infatti con questa sentenza Il Parlamento è illegittimo ma non si possono sostituire i 148 deputati con altri tra quelli non eletti, perché anche la loro elezione è illegittima. Un parlamento illegittimo può ancora svolgere la sua funzione? E che dire degli atti legislativi e non compiuti in quei 9 anni da un Parlamento eletto violando la Costituzione? La risposta è contenuta nella stessa sentenza della Corte Costituzionale: “si deve applicare il principio di continuità dello Stato”.

Per capire la gravità di tale affermazione della Corte riporto quanto scritto dall’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky:

“Il ricorso al principio di continuità dello Stato… è… “devastante” Chi è il sovrano? È lo Stato, (cioè il potere), come dice implicitamente la Corte, o è la Costituzione (o il popolo che agisce nelle forme e nei limiti della Costituzione) come dice l’art. 1, comma 2 Cost…. Quando si guarda dietro alle parole, si vede che dietro lo Stato stanno forze politiche e si può concludere con l’inquietante constatazione che la sentenza della Corte, liberandole dal vincolo della Costituzione, ne ha legittimato la nuda forza, priva di diritto, e ha de-costituzionalizzato la politica”.

Ed infatti il Governo, liberato con questa sentenza dal rispetto dei limiti stabiliti dalla Costituzione, si è fatto ancora più arrogante, così arrogante da ignorare le stesse indicazioni della Corte Costituzionale, che sì era ricorsa ad un principio devastante, quello della continuità dello Stato, ma questo non autorizzava però le Camere a concludere la Legislatura e, soprattutto, ad operare con pieni poteri come se nulla fosse accaduto. La proroga delle Camere aveva lo scopo di permettere l’approvazione di una nuova legge elettorale, conforme ai principi costituzionali, per poi tornare al voto e restituire ai cittadini la sovranità di cui il Porcellum li aveva privati. (Annibale Marini, Presidente della Corte Costituzionale)

Ed il Governo invece che fa? Continua tranquillo, approva una nuova legge elettorale, l’Italicum (che, lo diciamo subito, presenta le stesse incostituzionalità del Porcellum: premio di maggioranza abnorme che viola la rappresentatività popolare e liste bloccate), non permette ai cittadini di rivotare e, non pago, pone mano alla riforma più ampia mai fatta della Costituzione.

A fronte di questa arroganza non sorprende che tutto l’iter di approvazione di questa riforma sia stato costellato di abusi, illegittimità, violazioni di legge e della Costituzione. Vediamoli.

Le procedure che si sono adoperate per produrre la norma.
L’iterdi discussione della legge di riforma Costituzionale è stato un trionfo di ultimatum, ingerenze e ricatti, in cui le proteste delle opposizioni sono state liquidate cacciando chi non era d’accordo. Qui basti un esempio per tutti: dalla Commissione affari costituzionali del Senato sono stati cacciati quei Senatori che criticavano la riforma.

Per non parlare dell’uso spregiudicato dei regolamenti parlamentari. Anche qui basti un esempio per tutti, il c.d. “super-canguro”, una procedura che, per velocizzare l’approvazione del testo, accorpa emendamenti di contenuto simile e, nel votarne uno, fa cadere automaticamente gli altri.

Peccato che l’uso di questo strumento, il c.d. super-canguro, non possa essere utilizzato per i procedimenti di revisione costituzionale, come stabilito dall’art. 72 della Costituzione, che prevede sí che i regolamenti parlamentari delle Camere contemplino l’uso di procedure abbreviate per i disegni di legge di cui è dichiarata l’urgenza (commi 1 e 2), ma non per la votazione di leggi in materia costituzionale ed elettorale (comma 4). Queste ultime vanno approvate «articolo per articolo e con votazione finale».

Dunque, chiara violazione dell’art. 72, 4° comma della Costituzione. Oltre a ciò, l’art. 85 bis del regolamento della Camera, applicato per analogia al regolamento del Senato, prevede espressamente che il “canguro” non possa essere utilizzato per i procedimenti di revisione costituzionale.

Ma, nonostante gli espliciti divieti, anche costituzionali, l’approvazione di questa riforma ha fatto largo impiego del c.d. super-canguro.

La coerenza del nuovo contenuto introdotto con i principî costituzionali.
Nessuna coerenza ma, cosa ancora più grave di cui parleremo ampiamente, è violazione dell’articolo più importante della nostra Costituzione, l’art. 1, per il quale la sovranità appartiene al popolo.

Lo vediamo esaminando la riforma ma, prima, sfatiamo subito alcune dicerie, chiacchiere da bar, in ordine alla riforma della nostra costituzione.

La riforma, intervenendo sulla seconda parte della Costituzione, non inficia il diritti fondamentali contenuti nella prima. Falso!
Vediamo perché.

La Costituzione non va intesa come una litania di articoli staccati, ma come una salda architettura di principî, le cui parti sono coerenti e inscindibili fra loro. (Salvatore Settis)

Eguaglianza, diritti e istituzioni si legano inscindibilmente: le istituzioni e le procedure contenute nella seconda parte della Costituzione sono funzionali alla realizzazione dei diritti contenuti nella prima. Ciò significa che, se mutano le procedure e le istituzioni, muteranno anche le politiche e il livello di garanzia dei diritti.

Modificare, cioè, le parti della Costituzione inerenti le procedure e le istituzioni ha inevitabilmente un riflesso sui principi fondamentali stabiliti nella prima parte, riflessi devastanti.

Facciamo subito un esempio: la riforma del 2012 che ha modificato l’art. 81 della Costituzione introducendo il pareggio di bilancio, cioè viene stabilito in Costituzione che l’ammontare delle spese pubbliche sostenute dallo Stato e dagli altri enti pubblici deve uguale alle entrate.

Tanti miliardi sono le entrate, tanti miliardi devono essere le uscite.

Questa modifica, che ha colpito al cuore i diritti fondamentali dei cittadini, è stata così devastante che, negli ultimi anni, sono state numerosissime le sentenze che hanno attaccato il pareggio di bilancio, e le leggi che ne danno attuazione, evidenziandone l’inaccettabile compressione dei diritti fondamentali dei cittadini.

Facciamo un esempio. Con la sentenza n. 70/2015 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del decreto legge 6 dicembre 2011 del governo Monti, più noto come decretoSalva Italia. Nella sentenza si legge che «i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»; ed ancora: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» Infine, è ancora la Corte a ricordare la necessità di perseguire l’«eguaglianza sostanziale» dei cittadini di cui all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione. Tutti diritti fondamentali che l’abominevole pareggio di bilancio pregiudica.

Potrei continuare per ore a citarvi sentenze in questo senso, ma ci torneremo, ora è sufficiente che si abbia ben chiaro che intervenire sulla seconda parte della Costituzione porta, inevitabilmente, ad intaccare anche la prima parte in cui vi sono scritti i nostri diritti fondamentali.

La riforma è necessaria per uscire dalla crisi. Falso.
Anzi, come nota DE SIERVO (Presidente emerito della Corte costituzionale), se la riforma dovesse passare «non risolverebbe molti dei problemi che dice di voler affrontare, e addirittura produrrebbe nuove gravi danni alle nostre istituzioni democratiche». Di più. Non solo non contiene alcuna soluzione alla crisi ma, anzi, ci priva, come vedremo, degli strumenti che abbiamo, seppur non utilizzati, per uscire dalla crisi. Vedremo poi quali sono.

Ce lo chiede l’Europa. Falso.
Le modifiche alla Costituzione sono state indicate da una grande compagnia di gestione degli investimenti, che amministra 1800 miliardi di dollari, J. P. Morgan che, nel 2013, ha pagato al governo Usa una gigantesca multa (13 miliardi di dollari) dopo aver ammesso di aver venduto a piccoli investitori prodotti finanziari inquinati (un caso diphishing for phools). (Salvatore Settis)

Che cosa dice il documento stilato dagli analisti di J. P. Morgan, pubblicato il 28 maggio 2013 e facilmente accessibile in rete? Leggiamolo:

“All’inizio della crisi, si pensava che i problemi nazionali fossero di natura economica, ma si è poi capito che ci sono anche problemi di natura politica. Le Costituzioni e i sistemi politicidei Paesi della periferia meridionale, sorti in seguito alla caduta del fascismo, hanno caratteristiche non adatte al processo di integrazione economica, […]. Perciò questi sistemi politici periferici hanno, tipicamente, caratteristiche come: governi deboli rispetto ai parlamenti, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutela costituzionale del diritto al lavoro, consenso basato sul clientelismo politico, diritto di protestare contro ogni cambiamento. La crisi è la conseguenza di queste caratteristiche. […] Ma qualcosa sta cambiando: test essenziale sarà l’Italia, dove il nuovo governo può chiaramente impegnarsi in importanti riforme politiche”.

Il 10 giugno 2013, due settimane dopo il documento J. P. Morgan, nella relazione introduttiva al disegno di legge 813 del governo Letta – inerente le modifiche alla Costituzione, e che sarà poi portato avanti dal governo Renzi – echeggia gli stessi temi, bolla la Costituzione vigente come vecchia, perché identica al 1948, con una procedura per cambiarla troppo lenta per un Paese moderno, e ne condivide la soluzione: un Governo centrale forte rispetto al Parlamento e alle autonomie locali. (Salvatore Settis)

La nostra costituzione vecchia perché identica al 1948? Falso!

Dal 1948 ad oggi della nostra Costituzione sono stati già modificati 43 articoli (fino al devastante art. 81 nel 2012 che ha introdotto il pareggio di bilancio). Eccole:

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  • la L. cost. 18 marzo 1958, n. 1, ha modificato il termine ultimo per l’applicazione della disposizione transitoria XI della Costituzione, in materia di creazione di nuove Regioni, previsto inizialmente in 5 anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale e poi esteso al 31 dicembre 1963;
  • la L. cost. 9 febbraio 1963, n. 2, ha previsto, per quanto riguarda il numero dei membri delle due Camere, l’abbandono del criterio del rapporto con gli abitanti stabilendo un numero fisso di componenti. Pertanto, nell’art. 56 si stabilisce in 630 il numero dei deputati e viene fissato il criterio di riparto fra le circoscrizioni dei seggi; nell’art. 57 è stabilito in 315 il numero dei senatori elettivi ed è fissato il riparto dei seggi per Regione in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base di quozienti interi e dei più alti resti.

Infine, nell’originario testo costituzionale era prevista una diversa durata delle due Camere, dal momento che la legislatura del Senato cessava dopo 6 anni. In realtà, al fine di non provocare la continua chiamata alle urne dell’elettorato, tale le elezioni delle assemblee legislative si svolgevano contestualmente. Infatti, sia nel 1953 che nel 1958, in occasione del rinnovo della Camera dei deputati, il Senato veniva sciolto anticipatamente in modo da far coincidere le elezioni di entrambi i rami del Parlamento. Così, attraverso tale legge costituzionale, è stato modificato l’art. 60 equiparando la durata delle due Camere;

  • la L. cost. 27 dicembre 1963, n. 3, ha modificato l’art. 131, istituendo la Regione Molise, e l’art. 57, con la previsione di due senatori per tale Regione;
  • la L. cost. 22 novembre 1967, n. 2, ha sostituito l’art. 135, fissando in nove anni la durata della carica dei giudici costituzionali e in tre anni la durata della carica di Presidente; ha inoltre previsto l’elezione da parte del Parlamento dei giudici che integrano la Consulta nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica ogni nove anni;
  • la L. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, ha sostituito l’art. 96 attribuendo alla magistratura ordinaria (e non più alla Corte costituzionale), previa autorizzazione di una delle Camere, il giudizio sui reati ministeriali. Conseguentemente sono stati soppressi i riferimenti ai Ministri negli art. 134 e135;
  • la L. cost. 4 novembre 1991, n. 1, ha modificato l’art. 88, introducendo la possibilità per il Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere nel caso in cui il termine naturale della legislatura coincida con quello del semestre bianco;
  • la L. cost. 6 marzo 1992, n. 1, ha sostituito l’art. 79, stabilendo che la concessione dell’amnistia e indulto avviene con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale;
  • la L. cost. 29 ottobre 1993, n. 3, ha modificato l’art. 68, stabilendo che la cd. autorizzazione a procedere non è più necessaria per iniziare un procedimento penale nei confronti di un parlamentare, né per dare esecuzione a sentenze irrevocabili di condanna: va richiesta solo per limitare la libertà personale (fermo, arresto) o domiciliare (perquisizione) o di corrispondenza (intercettazioni telefoniche). Le Camere possono negarla solo se riscontrano che tale richiesta abbia intenti persecutori o intimidatori nei confronti dei suoi membri;
  • la L. cost. 22 novembre 1999, n. 1, ha modificato gli artt. 121, 122, 123, 126, sottraendo ai Consigli regionali la potestà regolamentare, rafforzando il ruolo del Presidente della Giunta (che «dirige la politica della Giunta e ne è responsabile»), prevedendo l’elezione diretta del Presidente della Giunta, ridisegnando il procedimento di formazione dello Statuto regionale, distinguendo tra cause di scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del Presidente della Giunta;
  • la L. cost. 23 novembre 1999, n. 2, ha modificato l’art. 111, inserendo i principi del giusto processo;
  • la L. cost. 17 gennaio 2000, n. 1, ha modificato l’art. 48, istituendo la cd. Circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero;
  • la L. cost. 23 gennaio 2001, n. 1, ha modificato gli artt. 56-57 concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all’estero;
  • la L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, ha modificato quasi integralmente il Titolo V, Parte II, della Costituzione;
  • la L. cost. 23 ottobre 2002, n. 1, ha disposto la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione che ha revocato la confisca dei beni della Casa Savoia cancellando, inoltre, ogni residuo del fattore ereditario nella famiglia degli ex sorani d’Italia;
  • la L. cost. 30 maggio 2003, n. 1, ha modificato l’art. 51 della Costituzione, per conferire copertura costituzionale alle azioni positive dello Stato che garantiscano le pari opportunità fra uomini e donne;
  • la L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha modificato l’art. 27, espungendo ogni riferimento alla possibilità di previsione della pena di morte nel nostro ordinamento;
  • la L. cost. 20 aprile 2012, n. 1, ha introdotto il principio del pareggio di bilancio in relazione agli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost.

Piccolo confronto, tanto per caprie quanto sia forte la demagogia, la Costituzione degli Stati Uniti, dal 1789 a oggi, è stata modificata solo 27 volte (anzi meno, dato che i primi dieci emendamenti furono approvati tutti insieme).

In America una modifica ogni 14 anni; in Italia, una ogni 19 mesi.

Domanda: se è proprio necessario cambiare di corsa la Costituzione per uscire dalla crisi, come mai gli Usa non se ne sono accorti? (Salvatore Settis)

Torniamo alle indicazioni della J.P. Morgan. Quale la sua soluzione per uscire dalla crisi? Leggiamo:

Perciò questi sistemi politici periferici hanno, tipicamente, caratteristiche come: governi deboli rispetto ai parlamenti, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutela costituzionale del diritto al lavoro, consenso basato sul clientelismo politico, diritto di protestare contro ogni cambiamento. La crisi è la conseguenza di queste caratteristiche. […] Ma qualcosa sta cambiando: test essenziale sarà l’Italia, dove il nuovo governo può chiaramente impegnarsi in importanti riforme politiche

E questo è stato fatto con questa riforma.

Vediamo come.

Partiamo dal Titolo I, ossiail Parlamento, le Camere e la formazione delle leggi;

Il Parlamento continua ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni differenti.

CAMERA:

630 deputati,

Rappresenta la Nazione,

Spetta la fiducia,

La funzione di indirizzo politico,

Controllo sull’operato del Governo

SENATO:

100 Senatori (74 Consiglieri provinciali, 22 Sindaci, 5 senatori di nomina presidenziale).

Rappresenta le istituzioni territoriali

Immunità parlamentare come per i Deputati

I membri del nuovo Senato saranno scelti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi

Permanenza in carica coinciderà con quella di consigliere regionale e di Sindaco

Solo alla Camera, che rappresenta la Nazione e resta composta da 630 deputati, spetta la titolarità del rapporto di fiducia e la funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell’operato del governo.

Il Senato rappresenta, invece, le istituzioni territoriali. Ma cosa significa? Cioè, i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi consiliari, oppure le popolazioni? Non si sa.

I nuovi senatori saranno 100, 74 consiglieri regionali (minimo due per Regione e Provincia autonoma), 21 sindaci (uno per Regione e Provincia autonoma) e 5 senatori di nomina presidenziale.

Dunque l’elezione diretta del Senato da parte del popolo non c’è più, né si capisce se poi

i senatori saranno effettivamente scelti dagli elettori, o dai Consigli regionali, infatti la nella riforma è previsto che le modalità che verranno stabilite con una legge che verrà varata entro 6 mesi dall’entrata in vigore della riforma costituzionale.

Ma due cose non sono chiare già da subito:

i Consigli regionali devono mandare in Senato i consiglieri più votati o gli elettori esprimeranno due voti (uno per il Consiglio regionale, l’altro per il Senato)? È chiaro che solo nel secondo caso si può parlare di una – comunque indiretta – indicazione popolare;

la ripartizione dei seggi tra le forze politiche presenti in Consiglio regionale avverrà sulla base dei voti ricevuti da ciascuna lista o sulla base della composizione dei gruppi consiliari? La cosa non è equivalente, perché nel primo caso non avrebbe influenza il premio di maggioranza, che tutte le leggi elettorali regionali prevedono (sia pure in misura diversa), nel secondo sì;

Ed ancora.

I 95 senatori con incarichi nelle istituzioni territoriali non dovranno dimettersi dalla loro funzione di consigliere regionale o di sindaco, ma continueranno a svolgerla part-time, con una serie di conseguenze sull’operatività di questi organi che, al contrario, richiedono un impegno a tempo pieno. Eppure sino a poco tempo fa non c’era un a legge che impediva il doppio incarico?

Ma ancora.

Visto che la permanenza in carica del senatore coinciderà con quella di consigliere Regionale e di Sindaco, avremo un Senato che andrà incontro a continui rinnovi parziali, una sorta, insomma, di Senato a formazione progressiva, soggetto a variazioni continue in ragione delle diverse scadenze degli organismi territoriali. Si consideri, ad esempio, che i Consigli regionali ora in carica scadranno: 1 nel 2017; 6 nel 2018 (più i Consigli provinciali di Trento e Bolzano); 5 nel 2019; 6 nel 2020.

Ai Senatori resta l’immunità parlamentare come ai deputati.

I nuovi senatori non riceveranno indennità, se non quella che spetta loro in quanto Sindaci o membri del Consiglio regionale. Resta l’indennità per i senatori a vita.

I cinque senatori di nomina presidenziale non saranno più in carica a vita ma saranno legati al mandato dell’inquilino del Colle, ossia sette anni e non possono essere rinominati.

Abbiamo detto che i senatori non rappresenteranno più la Nazione, ma solo le istituzioni territoriali, ed eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato(ossia senza obbligo di ubbidienza verso il partito, ma con piena libertà di giudizio e responsabilità personale).

Questo perché la riforma modifica anche l’art. 67 della Costituzione,

L’art. 67 della Costituzione vigente dice: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»

Il nuovo articolo 67 recita «I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato».

Scompaiono le parole «rappresenta la Nazione», che vengono trapiantate nell’art. 55, da cui risulta che «Ciascun membrodella Camera dei deputatirappresenta la Nazione».

Avremo, così, un Parlamento in cui non più «ogni» parlamentare ma, collettivamente, «i membri del Parlamento» sono esenti dal vincolo di mandato (cosa significhi non si sa) e il senatori non rappresenteranno più la Nazione.

Avremo, quindi, con questa modifica, l’assoluta meraviglia giuridica di un ex Presidente della Repubblica che rappresenta le autonomie locali, ma non la Nazione; lo stesso dicasi dei cinque senatori di nomina presidenziale, che avendo «illustrato la Patria per altissimi meriti» si troveranno, in mezzo a sindaci e assessori regionali, a rappresentare le istanze delle “piccole patrie” locali. (Salvatore Settis)

Ed ancora.

Altro punto importante della riforma, per far capire a cosa questa realmente tenda, è il nuovo art. 55, 4° comma della Costituzione che stabilisce che solo la Camera sarà titolare del rapporto di fiducia col Governo.

E visto che la legge elettorale assegna 340 seggi al partito che prende più voti, il voto di fiducia si riduce a una formalità. Siamo chiaramente al di fuori del sistema democratico e parlamentare.

Un mantra ripetuto dai sostenitori della riforma costituzionale è che ci sarà un netto abbattimento dei costi, per via della riduzione del numero dei senatori e dell’eliminazione delle indennità di carica.

Non è così, lo ha confermato la Ragioneria dello Stato, il risparmio sarà di circa 50 milioni di euro l’anno (le indennità dei senatori), su 540 che costa il Senato (con questa riforma, infatti, gli altri costi del Senato restano invariati. Anzi: una delle disposizioni finali della riforma, istituisce un ruolo unico dei dipendenti del Parlamento. Si costituzionalizza, così, questa figura di funzionario statale, con il rischio di sottrarla definitivamente alle manovre di risparmio che interessano tutti gli altri dipendenti pubblici: spendingreview, blocco del turnover e degli scatti stipendiali, tagli delle pensioni, etc.).

In Italia spendiamo 50 milioni di euro al giorno in spese militari, i dati sono ufficiali, cioè presi dal Ministero della Difesa. Se aggiungiamo a questa cifra le altre spese militari extra-budget, che gravano sul Ministero dello Sviluppo Economico per la costruzione di navi da guerra, cacciabombardieri e altri sistemi d’arma e, per le missioni militari all’estero, che gravano sul Ministero dell’Economia e delle Finanze, arriviamo alla cifra di 80 milioni di euro al giorno.

Così, per ottenere un risparmio di 50 milioni di euro l’anno, meno di quanto spendiamo in un giorno di spese militari, ci vogliono togliere la possibilità di eleggere direttamente i nostri rappresentanti in uno dei due rami del parlamento (Senato), violando così l’art. 1 della Costituzione che conferisce al popolo il diritto-dovere di affermare la propria volontàattraverso i suoi rappresentanti senza che nessun organo pubblico «espropri» i suoi diritti elettorali.

In particolare, il diritto di voto costituisce lo strumento principale con cui il cittadino-elettore esprime la propria volontà politica e realizza i fini che la Costituzione gli conferisce in via esclusiva e prioritaria: la sovranità appartiene al popolo.

Scrive ZAGREBELSKY: «la cancellazione dell’elezione diretta dei senatori, la drastica riduzione di essa (lasciando immutato il numero dei deputati), la composizione del Senato fondata su persone selezionate e la titolarità di un diverso mandato, colpiscono irrimediabilmente il principio della rappresentanza politica e gli equilibri del sistema istituzionale.

Conclude ZAGREBELSKY: «il vero obiettivo della riforma è lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo». Esattamente come chiesto dalla J.P. Morgan. Ma questo è un vero e proprio attentato allademocrazia parlamentare. E noi che facciamo? Ci facciamo togliere i nostri diritti fondamentali per due soldi?

Attenzione, perché la retorica sul taglio dei costi della politica era già emersa in occasione della riforma delle Province, sfociata nella legge 56 del 2014 (c.d. legge Delrio).

Essa prevede il trasferimento delle funzioni delle Province alle Regioni e ai Comuni, nonché la soppressione dell’elettività diretta delle cariche provinciali, sostituita da una elezione di secondo grado da parte dei sindaci e dei consiglieri comunali compresi nella Provincia stessa.

Ad un anno dalla sua entrata in vigore, la relazione della Corte dei Conti al Parlamento disegna un quadro piuttosto negativo: le Province continuano, in sostanza, a fare quel che facevano prima della riforma; i servizi erogati non sono, infatti, venuti meno con l’abolizione dell’elettività diretta degli organi. Né i costi si sono ridotti: il personale non è, infatti, scomparso, ma è stato trasferito ad altre Pubbliche Amministrazioni.

A fronte, dunque, di un modesto risparmio, realizzato sullo stipendio dei componenti degli organi Provinciali, i cittadini hanno pagato il prezzo altissimo di perdere il potere di scegliere direttamente chi deve gestire i loro servizi e il loro territorio.

Ma attenzione perché un Governo che propone di risparmiare sulla democrazia non è particolarmente rassicurante, ma lo è ancor meno se il risparmio che annuncia trionfalisticamente ammonta in concreto a una cifra inferiore a quanto spendiamo in un giorno di spese militari. Valiamo così poco? La democrazia vale così poco? (Salvatore Settis)

Un altro appunto.

La critica sui costi della politica si concentra sempre sulle istituzioni parlamentari, mentre trascura di rivolgere la stessa indagine sul Governo.

Eppure i numeri dovrebbero fare riflettere. Anche qui facciamo un esempio: le spese del solo Segretariato generale di Palazzo Chigi sono, al 2014, di 754 milioni di euro, molto più del Senato attuale (540 milioni).

Dunque il risparmio, con la riforma del Senato sarà di circa 50 milioni di euro l’anno. Per questo meraviglioso risultato, esattamente come accaduto per le Province, i cittadini non potranno più eleggere direttamente i loro rappresentanti. Ottimo. Viva la demagogia. Come è facile prenderci in giro, vero? Basta fare leva sui costi della politica, solo alcuni costi naturalmente. Vuoi risparmiare due euro? Subito, però ti tolgo uno dei tuoi diritti fondamentali, nonché asse portante della democrazia, quello di scegliere i tuoi rappresentanti. E noi ci cadiamo sempre perché quotidianamente la retorica circa il fatto che i problemi dell’Italia sono causati dagli stipendi o indennità dei politici è alimentata.

Ed ora, visto Camera e Senato, passiamo alla formazione delle leggi.

Nella Costituzione oggi vigente l’art. 70 recita.

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.

Un testo di 9 (nove) parole, impossibile non capire.

Ed ecco il testo della proposta Renzi-Boschi (434 parole):

Art. 70

1. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

2. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati.

3. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.

4. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti.

5. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione.

6. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti.

7. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati.

Sfido chiunque a leggere questo articolo fino in fondo ed a capire quel che dice. (Salvatore Settis)

Pensate che, nel 1309, il Comune di Siena, che sino a quell’anno aveva sempre prodotto norme scritte in latino,la lingua dei giuristi e dei notai, prese una decisione molto importante, anzi straordinaria nell’Europa Medioevale: far scrivere, a le spese del Comune di Siena, loStatutodel Comune (cioè la sua Costituzione), in italiano, e anche in lettere ben leggibili e ben formate, perché “anche chi non sa il latino possa leggere, capire, consultare, trarre copie”.

Cioè aSiena, nel 1309, si decise di scrivere un Costituzione comprensibile a tutti, per rispetto dei cittadini meno colti. A Roma, nel 2016, si fa l’esatto contrario. Siamo tornati indietro di secoli. Ma vedremo, poi, meglio quanto siamo tornati indietro nel rispetto dei cittadini e dei loro diritti.

Ed attenzione, perché il solo motivo per cui si scrive in maniera tale da rendere difficile un testo è per poter ingannare meglio.

Andiamo avanti.

Viene detto che questa modifica si è resa necessaria per superare il bicameralismo perfetto e rendere più celere l’attività legislativa. Non è vero.

Innanzitutto il bicameralismo perfetto non scompare ma permane su:

  • leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali;
  • leggi ordinarie a tutela delle minoranze linguistiche,
  • referendum popolari,
  • leggi di iniziativa popolare,
  • legislazione elettorale,
  • legislazione relativa agli organi di Governo
  • legislazione relativa alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane,
  • leggi di autorizzazione alla ratifica dei Trattati UE,
  • leggi sull’eleggibilità dei senatori,
  • leggi sull’ordinamento di Roma,
  • leggi sul regionalismo differenziato,
  • leggi sulla partecipazione delle Regioni speciali alla formazione e alla attuazione di norme UE,
  • leggi sulle intese internazionali delle Regioni,
  • leggi sul patrimonio degli enti territoriali,
  • leggi sui poteri sostitutivi dello Stato nei confronti degli enti territoriali,
  • leggi sui principi della legge elettorale delle Regioni ordinarie,
  • leggi sul passaggio di un Comune da una regione a un’altra.

In tutte queste materie, le leggi continuano a dover essere approvate nel medesimo testo da Camera e Senato. Dunque, bicameralismo perfetto.

Si dice anche che questa modifica è stata attuata per semplificare il procedimento legislativo e rendere più celere ed efficiente la produzione di norme. Anche questo non è vero.

La media di approvazione di una legge è, oggi, 53 giorni. Oltre a ciò, in Italia, siamo vittime di una vera e propria bulimia legislativa, tanto che, recentemente, proprio il Presidente della Corte di Conti ha lanciato l’allarme sulla troppa produzione di norme.

La verità è che il legislatore decide troppo, troppo rapidamente e modifica costantemente quanto già disposto in precedenza, proprio perché incompetenza e fretta lo portano a fare leggi sbagliate ed incostituzionali.

Ma anche a voler credere che si debba legiferare di più, e più in fretta, non è con questa modifica che ciò sarà possibile. Infatti, mentre nel vecchio art. 70 c’era un solo procedimento legislativo bicamerale, con questa riforma ne avremo ben 10.

  1. leggi approvate, come oggi, da entrambe le Camere (nuovo art. 70, co. 1, Cost.).
  2. leggi approvate dalla Camera, con possibile esame del Senato, che può decidere entro 10 giorni di esaminarle e di approvare, entro ulteriori 30 giorni, proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera (nuovo art. 70, co. 2 e 3, Cost.).
  3. leggi approvate dalla Camera, con necessario esame del Senato, che può approvare entro 10 giorni, a maggioranza assoluta, proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera sempre a maggioranza assoluta (nuovo art. 70, co. 4, Cost.);
  4. leggi approvate dalla Camera, con necessario esame del Senato, che può approvare entro 15 giorni proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera (nuovo art. 70, co. 5, Cost.).

Come se non bastasse, a tutto ciò vanno aggiunte le ulteriori procedure previste da disposizioni costituzionali diverse dal nuovo art. 70 Cost.

  1. le leggi elettorali di Camera e Senato, che si differenziano dalle altre perché un quarto dei deputati o un terzo dei senatori possono richiedere il controllo preventivo da parte della Corte costituzionale entro 10 giorni dalla loroapprovazione; il giudizio della Corte deve, poi, intervenire entro 30 giorni (nuovo art. 73, co. 2, Cost.).
  2. le leggi approvate dalla Camera dopo esame avviato su richiesta del Senato approvata a maggioranza assoluta; la decisione della Camera deve intervenire entro 6 mesi (nuovo art. 71, co. 2, Cost.).
  3. le leggi dichiarate dal governo essenziali all’attuazione del suo programma. Il governo chiede alla Camera di deliberare, entro 5 giorni, l’iscrizione della legge all’ordine del giorno, dopodiché la Camera stessa deve pronunciarsi in via definitiva entro 70 giorni (a tal fine, i tempi per l’eventuale richiesta di modifica da parte del Senato sono dimezzati); il termine di 70 giorni può essere prolungato di 15 giorni in caso di particolare complessità della legge (nuovo art. 72, co. 7, Cost.).
  4. le leggi di conversione dei decreti-legge, che seguono un procedimento speciale da concludersi entro 60 giorni (salgono a 90 giorni se il presidente della Repubblica rinvia alle Camere la legge di conversione); la legge di conversione è approvata dalla Camera, salvo il Senato chieda, entro 30 giorni dalla sua presentazione alla Camera, di esaminarla; in tal caso il Senato dovrà pronunciarsi entro 10 giorni dal ricevimento ed entro 40 giorni dalla presentazione alla Camera (nuovo art. 77, co. 3 e 6, Cost.).
  5. le leggi dichiarate urgenti e, per questo, approvate con procedimenti speciali che saranno disciplinati dai regolamenti parlamentari (nuovo art. 72, co. 3, Cost.).
  6. le leggi di iniziativa popolare, che seguiranno un procedimento speciale dettato dai regolamenti parlamentari, che devono comunque assicurare tempi d’esame certi.

Una vera Babele, in cui i termini (10, 15, 30 giorni) e le maggioranze (semplice o assoluta) sembrano indicati a caso.

Soprattutto, va considerato che il procedimento da seguire dipende dalla materia su cui interviene la legge, ma quasi sempre le leggi si collocano a cavallo di più materie: quale procedimento seguire in questi casi? Per fare un esempio astratto, ma chiaro: una legge che regola gli agriturismi è in materia di agricoltura o di turismo? E se per le due materie sono previste procedure diverse, quale va applicata? È agevole immaginare che esploderà un’ondata di contenziosi costituzionali tra Camera e Senato in ordine al tipo di procedimento da seguire nei diversi casi.

Dietro l’angolo di questa riforma, dunque, nessuna semplificazione, anzi la moltiplicazione dei processi legislativi, l’intrico delle procedure e il proliferare di conflitti di competenza fra Camera e Senato, tra Stato e Regioni. (Salvatore Settis)

Che significa, nei fatti, questa modifica?

La paralisi del Parlamento, tutto a vantaggio del rafforzamento dell’Esecutivo.

Ed il rafforzamento della posizione dell’esecutivo nei confronti del Parlamento emerge evidente con l’introduzione del c.d. voto a data certa (nuovo art. 70, co. 7, Cost.), grazie al quale il Governo, incidendo sull’ordine del giorno parlamentare, potrà chiedere alla Camera di riconoscere, entro 5 giorni, che un disegno di legge è “essenziale per l’attuazione del programma di governo”.

Come se non bastasse, in questo caso, la Camera deve votare sul ddl entro 70 giorni (prorogabili di massimo 15 giorni), avendo, inoltre, un potere di emendamento limitato.

Il Senato vedrà, poi, ridotti della metà i tempi entro cui deliberare proposte di modifica. (Questa possibilità è esclusa solo per le leggi costituzionali, le leggi rimaste bicamerali, le leggi elettorali, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi di amnistia e indulto, la legge che dà attuazione all’equilibrio di bilancio).

Merita anche di essere ricordato che, nel nostro ordinamento, l’ultima formalizzazione di un potere del Governo di incidere sull’ordine del giorno parlamentare risale al periodo fascista (art. 6, l. 2263/1925).

Come si vede con questa riforma non solo restano al loro posto tutti gli strumenti attraverso i quali in questi anni il governo ha manipolato sempre più a fondo i lavori parlamentari espropriando, nei fatti, il Parlamento del potere legislativo e rendendo silenti le voce degli altri rappresentanti del popolo: (fiducia, decreti-legge, maxi-emendamenti, “canguri”, “tagliole”, “ghigliottine”), ma ne vengono costituzionalizzati di nuovi. Sempre ovviamente limitativi del confronto politico.

Con questa riforma, insomma, si costituzionalizza quanto avviene da anni: il predominio dell’Esecutivo sul Parlamento

Da vent’anni, infatti, le Camere sono ridotte ad un ruolo marginale nel confronto politico e schiacciate dall’abuso della decretazione d’urgenza e dei maxiemendamenti, dall’uso continuo e strumentale della fiducia, dal contingentamento dei tempi di discussione.

Le statistiche parlano chiaro e ci dicono che:

  • su 10 atti che diventano legge, 8 sono di iniziativa del Governo e solo 2 del Parlamento.
  • le leggi più importanti sono di iniziativa governativa: provvedimenti economici, riforme, modifiche costituzionali, politica estera.

la richiesta di fiducia da parte del Governo è continua, con Letta nel 27,78% dei casi, con Renzi nel 31,01%;

Tutte, lo ricordiamo, azioni che si pongono in violazione della nostra Costituzione vigente.

Ma le indicazioni internazionali (J.P. Morgan) parlano chiaro: non si vuole la rappresentanza, non si vuole il confronto, si vuole un governo forte, un governo in grado di tacitare le minoranze, le opposizioni, si vuole un uomo solo al comando in grado di fare tutto ciò che vuole senza dover rendere conto a nessuno.

In altri termini: se passa questa riforma il Parlamento, come luogo di rappresentanza, di confronto e di mediazione di interessi reali, non esisterà più.

Ma attenzione perché il Parlamento è il luogo della rappresentanza, là dove l’intero popolo è rappresentato. È il luogo del confronto pubblico e trasparente, mentre il Governo è, soprattutto, il luogo dell’attuazione dell’indirizzo elaborato nel dibattito parlamentare. Se il Governo gode della fiducia del Parlamento significa che è sostenuto dalla maggioranza dei rappresentanti dei cittadini, e dunque, almeno in astratto, dalla maggioranza del popolo. È solo in questo che trova la legittimazione per governare e, se necessario, per imporre sacrifici al Paese.

Con questa riforma tutto questo non ci sarà più.

Anzi, vediamo come la riforma tratta le minoranze, le opposizioni.

Anzitutto, lo Statuto delle opposizioni, pur previsto nel nuovo testo dell’art. 64 Cost., è rinviato a eventuali future modifiche dei regolamenti parlamentari (che verranno approvati dalla maggioranza scaturita dall’Italicum, dunque senza alcuna garanzia che i diritti delle opposizioni siano realmente tutelati).

Ma, quel che più inquieta è la marginalizzazione del ruolo delle opposizioni in questioni che la Costituzione attuale tratta come di essenziale garanzia:

SLIDE

  • l’elezione del presidente della Repubblica,
  • l’elezione di un terzo dei membri del Csm,
  • la dichiarazione di guerra,
  • la ratifica dei trattati internazionali
  • l’approvazione della legge di amnistia e indulto.

Per quanto concerne l’elezione del Presidente della Repubblica e l’elezione di un terzo dei membri del CSM non ci dilunghiamo su questo punto perché si entrerebbe troppo nel tecnico, basti dire che, per via del ridotto numero dei Senatori il potere della maggioranza aumenta notevolmente. Infatti, un conto è avere 340 voti su 1.008 aventi diritto, un altro è avere 340 voti su 730 aventi diritto.

Concentriamoci sugli altri tre punti,

La dichiarazione dello stato di guerra è, oggi, di competenza di entrambe le Camere.

Con la riforma (nuovo art. 78 Cost.) diventa di competenza esclusiva della Camera dei deputati, che dovrà pronunciarsi a maggioranza assoluta. Dunque, grazie all’Italicum, il primo partito potrà decidere da solo.

È vero che, sino ad ora, si è evitato il ricorso a questo strumento (mandando i soldati a combattere guerre non definite tali), ma è anche vero che resta immutato l’art. 60 Cost., in base al quale, dopo la dichiarazione dello stato di guerra, con una legge ordinaria si potrebbero prolungare la durata della legislatura e rinviare le elezioni…

La concessione dell’amnistia e dell’indulto è disciplinata dal nuovo art. 79 Cost., che richiede sia raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti della sola Camera. Significa dover raggiungere 420 voti, 80 oltre la soglia assicurata dall’Italicum. Insomma, in caso di necessità, con qualche accordo in Parlamento, la forza di maggioranza potrebbe essere in grado di amnistiare i suoi stessi esponenti politici.

Per non parlare, poi, dell’autorizzazione, con legge alla ratifica dei trattati internazionali di natura politica che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi (art. 80).

Alleopposizioni, insomma, resterebbe solo un «diritto di tribuna», impossibilitate a esercitare, prive di una qualificata rappresentanza parlamentare, un reale potere di controllo sugli atti del potere legislativo ed esecutivo.

Con questa riforma, nei fatti, viene cancellata la rappresentatività di una Camera e messo in mano al Governo il potere di fare le leggi.

OTTIMO!

Ed ora passiamo alla competenza legislativa delle Regioni

Con la riforma del riforma del Titolo V della Costituzione viene:

  • rivista la distribuzione delle competenze (nuovo art. 117 Cost.), in particolare attraverso l’aumento delle materie esclusive statali (nuovo art. 117, co. 2, Cost);
  • eliminata la competenza concorrente e ridotta l’autonomia organizzativa regionale;
  • riaccentrata a livello statale la disciplina degli enti locali, l’eliminazione dal dettato costituzionale delle Province;
  • confermato il riferimento al commissario del governo (art. 123 Cost.),
  • introdotta la clausola di supremazia, comma 1 del nuovo articolo 117 Cost.

Con la riforma viene:

Rivista la distribuzione delle competenze (nuovo art. 117 Cost.), in particolare attraverso l’aumento delle materie esclusive statali (nuovo art. 117, co. 2, Cost);

Esempio, dopo la Riforma, saranno di competenza esclusiva dello Stato:

  1. tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;
  2. produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
  3. infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza;
  4. disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; ecc.

Dunque, dopo la riforma costituzionale, lo Stato si occuperà in via esclusiva di ambiente, energia, infrastrutture, turismo, comunicazioni, ecc.. e porrà le “disposizioni generali e comuni” in settori strategici per gli enti locali come governo del territorio e urbanistica, ecc.. lasciando alle Regioni solo rappresentanza e promozioni. Infatti, alle Regioni restano, come competenza:

  • la promozione (ma non la tutela) dei beni ambientali, culturali e paesaggistici;
  • la promozione (ma non tutela) dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale;
  • la valorizzazione e organizzazione (ma non tutela) regionale del turismo la rappresentanza delle minoranze linguistiche;
  • la promozione del diritto allo studio, anche universitario;
  • la promozione delle attività culturali,
  • Soprattutto, per quanto riguarda l’energia, la tutela del territorio, dell’ambiente, ecc.. appare evidente che questa modifica vuole aggirare la sentenza della Corte costituzionale n. 7 del 2016, che ha dichiarato incostituzionali, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, alcuni dei principi contenuti del Decreto Sblocca Italia, tra questi il punto che prevedeva l’esclusione delle Regioni dai processi decisionali in materia energetica e infrastrutturale.

Dunque, se vince il sì, i territori e le Regioni non potranno più opporsi alle decisioni dello Stato in materia energetica ed ambientale. Impianti geotermici, biomasse, inceneritori, ma anche cave, ecc.. saranno autorizzate direttamente da Roma senza che i territori possano più opporsi in ogni modo.

  • Introdotta la Clausola di supremazia, comma 1 del nuovo articolo 117 Cost

Dopo la riforma abbiamo visto che ben poche competenze restano alla Regione, competenze di poco conto. Ma anche queste poche competenze potranno essere, tuttavia, sottratte alle Regioni con una semplice e generica di dichiarazione del governo di “interesse nazionale”.

È la devastante Clausola di supremazia introdotta dalla riforma al comma 1 del nuovo articolo 117 dea Costituzione. Cosa prevede questa clausola? Che: “Su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.”

Insomma, il Governo, con una semplice e generica dichiarazione di “interesse nazionale” potrà togliere completamente la possibilità di legiferare e gestire il territorio alle Regioni ed enti locali.

Viene anche eliminata la competenza concorrente (quella per cui lo Stato fa leggi-cornice, contenenti i princìpi, e le Regioni leggi di dettaglio), viene ridotta l’autonomia organizzativa regionale: (specie per le spese della politica, a proposito delle quali va sottolineato il divieto di corrispondere “rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali”: vero che in questi anni i gruppi consiliari hanno spesso fatto un uso dissennato di tali risorse, ma vietarne del tutto l’erogazione, anziché controllarne severamente l’utilizzo, rischia di colpire a morte l’organizzazione politica strutturata a livello regionale, salvo per chi è ricco abbastanza da poter impiegare risorse proprie);

Viene tendenzialmente riaccentrata, a livello statale, la disciplina degli enti locali, spicca l’eliminazione dal dettato costituzionale delle Province (che non verranno però abolite finché non sarà eventualmente abrogata la legislazione ordinaria che le prevede). Al posto delle Province emergono gli “enti di area vasta” (vale a dire enti sovracomunali, come lo erano le Province…). La c.d. legge Delrio (l. 56/2014) ha “anticipato” questo profilo della riforma costituzionale, trasformando le Province (e le Città metropolitane) in enti di secondo livello (cioè composti da membri scelti tra gli eletti nei Comuni) e riducendo le loro competenze. Dovrebbe far riflettere la circostanza che la riforma, nel contempo, “abolisce” le Province, ma riconosce la necessità dell’esistenza di “enti di area vasta” che coordinino le funzioni cui i Comuni non riescono a far fronte da soli (date le loro generalmente modeste dimensioni). Il rischio è che al posto di una Provincia avremo una pluralità di “enti di area vasta”, ciascuno dotato dei propri vertici decisionali e di una propria struttura amministrativa. Molto probabilmente, sarebbe stato più razionale accorpare le Province esistenti (eventualmente trasformandole in enti di secondo livello) e aumentarne le competenze, a scapito della miriade di enti sovracomunali monofunzionali oggi esistenti (ambiti ottimali rifiuti e idrici, bacini imbriferi, unioni di Comuni, consorzi di varia natura, società partecipate, ecc.).

Resta il riferimento al commissario del governo (art. 123 Cost.), un organo che non esiste più da quindici anni e che già era stato “dimenticato” nel testo costituzionale dalla revisione del 2001. Possibile che nessuno lo abbia notato?

Ma la clausola più devastante, che nei fatti annulla tutto quanto detto siano ad ora, è la c.d. Clausola di supremazia stabilita dal comma 1 del nuovo articolo. Cosa prevede questa clausola? Che il Governo potrà indebolire le autonomie territoriali – e condizionare ulteriormente l’attività del Parlamento – proponendo che le competenze legislative attribuite alle Regioni siano esercitate dallo Stato (cd. clausola di supremazia).

Basta che il Governo (attenzione, non il Parlamento che poi dovrà legiferare), sostenga che vi sia un interesse nazionale che giustifichi tale “invasione”.

Insomma, io, Governo, già ti ho tolto molte materie ma, basta che sostenga un generico interesse nazionale, e ti posso togliere completamente la possibilità di legiferare e gestire il territorio.

Tutto in mano mia, e tutto solo sulla base di una generica dichiarazione di interesse nazionale.

Attenzione, ripetiamo, dichiarazione fatta non dal Parlamento, che rappresenta tutto il popolo italiano, ma dal Governo che ne rappresenta solo una parte. Una follia.

Il popolo, il territorio, le opposizioni, non contano e non devono contare, devono essere assolutamente marginalizzate e rese mute. E che il popolo non possa, e non debba contare, è confermato dalle vergognose limitazioni alle sue prerogative di azione come democrazia diretta.

Attenzione, perché nella riforma Il ricorso agli strumenti di democrazia diretta è in apparenza favorito (nuovo art. 71 Cost.). Ingannare è il principale strumento di questo modo di governare, ce ne siamo accorti.

In realtà, però, quando si guarda bene, e non ci si affida agli slogan dei vari politici, ci si accorge che quasi tutto è rinviato a eventuali successive leggi costituzionali: sia per introdurre i referendum propositivi e d’indirizzo, sia per obbligare il Parlamento a discutere le proposte di legge di iniziativa popolare.

È, invece, immediatamente operativo l’aumento delle firme che bisognerà raccogliere: triplicate, da 50mila a 150mila, per l’iniziativa popolare; aumentate da 500mila a 800mila per il referendum se si vuole che il quorum sia calcolato sulla metà più uno non degli aventi diritto, ma dei votanti alle ultime elezioni per la Camera.

Il Cnel.

Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) viene abolito.

Era un organo ampiamente screditato e, nei fatti, ben poco utile, e questo va bene.

Insomma, riassumendo:

Violazione art. 1, la sovranità appartiene al popolo.

Perché:

  • i cittadini non eleggeranno più direttamente il Senato;
  • viene limitata la partecipazione dei cittadini alla vita democratica
  • il Governo, nei fatti, non potrà più essere sfiduciato;
  • controllo da parte del Governo dell’agenda parlamentare
  • minoranze ed opposizioni isolate e mute impossibilitate, nei fatti, alla loro attività di controllo e garanzia

L’accoppiata Italicum-revisione costituzionale rende evidente come il vero obiettivo delle riforme sia lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo, con assoluta marginalizzazione della sovranità del popolo, della loro possibilità di partecipare alla vita democratica e di poter scegliere i loro rappresentanti.

Infatti i cittadini non eleggeranno più direttamente il Senato, esattamente come già successo per le Provincie, dove è stato abolito solo il Consiglio provinciale, vale a dire l’organo elettivo.

Nell’elezione della Camera la volontà dei cittadini viene distorta ed ha scarsissimo peso nella selezione degli eletti. Infatti, grazie alle leggi elettorali incostituzionali che ci portiamo dietro da anni, il ballottaggio, premio di maggioranza alla singola lista, soglie di accesso e voto bloccato sui capilista, consegnano la Camera nelle mani del leader del partito vincente nella competizione elettorale, senza che sia necessario raggiungere una soglia minima di consensi.

Con la riforma, la fiducia è data alla sola Camera che, come abbiamo visto, grazie al premio di maggioranza, possiamo tranquillamente dire che il governo non può più essere sfiduciato, quindi può tranquillamente continuare a governare indipendentemente dalle porcherie che fa.

Se poi la Camera dovesse comunque essere riottosa a qualche porcheria troppo grossa, con il voto a data fissa il Governo assume il controllo dell’agenda parlamentare, potendo legiferare su tutto, eventualmente anche a scapito delle competenze regionali (clausola di “supremazia”).

Insomma, con questa riforma emerge una forma di governo incentrata su un uomo solo al comando, esattamente come da indicazioni di J.P. Morgan. Se passa la riforma non sapremo più una democrazia, ma un’autarchia elettiva.

Infatti, la riforma accentra il potere verso l’alto: dal Parlamento al Governo; dal Consiglio dei Ministri al capo del Governo; dalle Autonomie territoriali allo Stato; dagli elettori a una piccola frazione degli eletti.

In nome della stabilità e della governabilità, la riforma costituzionale e l’Italicum consegnano molte decisioni fondamentali ad una maggioranza artificiale, dominata dal leader del partito e sostenuta di fatto da meno di un terzo dei consensi elettorali.

Questa maggioranza potrebbe decidere da sola sui diritti fondamentali, sull’indipendenza della Magistratura, sulle regole dell’informazione, sui principi dell’etica pubblica, sulle prerogative del ceto politico, sulle leggi elettorali e, perfino, su ulteriori revisioni costituzionali future che, come abbiamo visto, secondo le indicazioni della J.P. Morgan, prevedono anche misure per impedire al popolo di protestare.

Insomma, con una Camera formata da deputati nominati dai capi-partito, con una maggioranza artificiale, con un Senato depotenziato e con modalità di elezione confuse e contraddittorie… come potrà ancora dirsi che “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1 della Costituzione)?

SecondoTransparency International, che indica l’Italia come uno dei paesi più corrotti d’Europa, peggio di Namibia e Ruanda, una delle cause della crisi italiana è che già oggi «il potere legislativo dipende troppo dal potere esecutivo, che governa senza la debita assunzione di responsabilità». (Salvatore Settis) E noi che facciamo con questa riforma? Accresciamo ancora di più il suo potere? Una follia.

Una follia perché il limite al potere è assicurato dall’equilibrio e dalla separazione dei poteri. Equilibrio e separazione stabiliti in modo preciso dalla nostra Costituzione.

Con questa riforma tale equilibrio e separazione, come abbiamo visto, saltano.

Ma allora allora diciamo chiaramente le cose come stanno, se passa questa riforma noi non avremmo più, nei fatti, una Costituzione. Ossia, avremmo snaturato completamente la funzione della Costituzione. Ricordate cosa abbiamo detto all’inizio?

La Costituzione è la legge fondamentale, è la base su cui viene costruita la vita di uno Stato, è l’insieme delle regole alle quali deve conformarsi il potere, è il limite che viene dato al potere.

E questo lo si sa da sempre.

SLIDE

L’art. 16 della «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» del 1789 recita:

«ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri fissata, non ha una Costituzione».

Questa riforma ci priva, nei fatti, del limite che viene dato al potere. Ma attenzione, perché un potere senza limite tende a trasformarsi, naturalmente, in dittatura. Perché le leggi, lo abbiamo detto, servono per proteggere l’uomo, il popolo, i cittadinidalla prevaricazione dei potenti.

Ma perché questo continuo attacco alla nostra Costituzione da parte degli ultimi governi?

Perché questo inganno?

Vediamo il perché.

 

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riforma costituzionale

 

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