Il leone e il dentista
La storia è da qualche giorno sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine)
Houston, 30 luglio 2015 – Walter Palmer, un dentista del Minnesota con il pallino per la caccia uccide, agli inizi di luglio, Cecil, un leone di 13 anni, simbolo dello Zimbabwe.
Lo attira all’esterno del Zimbabwe National Park con un’esca, e colpisce il leone con una freccia per poi finirlo con un’arma da fuoco.
Il nostro dentista, sposato e padre di due figli, ha pagato ben 54.000 dollari per cacciare questo particolare leone dalla criniera nera, il quale, tra l’altro, aveva un collare elettronico perché inserito in un programma scientifico di studio sulla protezione dei grandi felini dell’Università di Oxford.
Già nel 2008 Palmer viene rinviato a giudizio per aver ucciso un orso bruno fuori dall’area prescritta. Risultato: un anno di libertà condizionata e una multa di 3.000 dollari.
Finisce poi sui giornali nel 2009 per l’abbattimento di un gigantesco alce in California, nella Grizzly Island Wildlife Area, a 50 miglia a nordest di San Francisco.
Ma Palmer, pur aduso a bravate come queste, non è il primo né sarà certamente l’ultimo a far parlare di sé per eventi di questo genere.
Nel gennaio dello scorso anno, ad esempio, Corey Knowlton, un cacciatore texano ha pagato 350.000 dollari per cacciare e uccidere un rinoceronte nero in Namibia, un esemplare appartenente ad una specie protetta ad altissimo rischio di estinzione.
Beh, che dire, difficile non provare sgomento davanti a storie come queste.
Se chiudo gli occhi lo vedo, davanti a me, Cecil colpito dalla freccia, fuggire nella savana.
Soffrire con la dignità silenziosa con cui il mondo animale è solito soffrire.
Cercare una salvezza impossibile, braccato da uomini spietati.
Quaranta ore, dicono, di fuga, un’agonia interminabile, sempre più debole e sfiancato.
Poi i cacciatori che lo raggiungono, il colpo di grazia, e l’ultimo oltraggio, il nobile animale viene decapitato e scuoiato.
Chiudo gli occhi e li vedo, davanti a me, i sei cuccioli del suo branco che il suo vigore non potrà più difendere dai pericoli della savana.
Vedo tutto ciò e mi chiedo il senso di questo dolore, di questa follia.
Ma, mi dico, questa è solo una visione parziale, non rende ragione del senso totale della vicenda.
Comprensibile, condivisibile, ma pur sempre parziale.
Perché non c’è solo il leone, ma anche l’uomo, il cacciatore, il nostro Palmer.
Che si è già rovinato la vita con questa storia.
Che ha dovuto chiudere lo studio e scrivere ai pazienti di rivolgersi ad altri professionisti perché di fatto è sotto assedio da parte di tutti gli animalisti del Minnesota e oltre.
Certo, se l’è meritato, non c’è dubbio.
Tuttavia, se vogliamo che lo sguardo d’insieme sia completo, se non vogliamo che questa vicenda susciti in noi solo istinti altrettanto primitivi di quelli che hanno spinto il nostro dentista, dobbiamo completare il quadro.
Per prima cosa qui c’è una questione di epoche.
Pensate solo al fatto che Palmer – solo un centinaio di anni fa – sarebbe stato indiscriminatamente osannato da tutti e le sue foto sorridenti, fucile sottobraccio e piede sulla testa del leone abbattuto, avrebbero richiamato l’invidia e l’ammirazione di mezzo mondo.
A distanza di cent’anni – per fortuna – tutto è cambiato. La percezione di quell’immagine è oggi diametralmente opposta.
Invece di suscitare ammirazione e invidia, suscita disprezzo e riprovazione.
Questo significa che l’intera atmosfera dell’umanità ha iniziato un percorso di sensibilità verso il mondo animale, la natura e il pianeta, assolutamente impensabile solo pochi decenni or sono.
E questa è la good news.
La bad news è sicuramente che cose del genere ancora accadano, ma c’è dell’altro.
C’è che, invece di far pensare, di spingerci a vedere il quadro completo, sovente ci spingono solo a dare la stura a tutta l’avversione che proviamo dentro di noi, veicolandola verso il malvagio di turno, il nostro dentista in questo caso.
Ora pensiamoci bene.
Chi è questo Palmer?
Un disgraziato come tanti che prova piacere nell’uccidere, che chiama sport il massacro di esseri inermi, che spende tutti i suoi soldi per andare – fin dall’altra parte del mondo – a uccidere degli esseri viventi.
Da dove proviene questo istinto?
A cosa porterà, quali ne saranno le conseguenze?
Evidentemente una passione così forte ha delle radici karmiche precise, che si ripresentano come impulso oggi decisamente inattuale. In qualche modo è come se un uomo delle caverne, abituato a uccidere gli animali per nutrirsi, s’incarnasse direttamente nell’epoca moderna, portando dentro di sé l’impulso irrefrenabile alla caccia di grosse prede.
Ma c’è di più.
Lo stesso piacere dell’uccidere, che sappiamo dall’occultismo essere un seme di magia nera, è qualcosa che è destinato a devastare l’anima e a produrre delle conseguenze karmiche decisamente pesanti.
E allora ecco che, mentre guardo alla sofferenza di Cecil – al suo sacrificio silenzioso – mi compare davanti all’anima anche quella del suo uccisore.
Mi sorge davanti all’anima il peso karmico che quest’uomo dovrà portarsi sulle spalle per aver dato il suo contributo all’enorme responsabilità che l’umanità ha verso il mondo animale, responsabilità che un giorno si tramuterà in un conto piuttosto salato.
E allora mi tornano alla mente le parole di Qualcuno, tanti anni fa, che, di fronte ad un atto di macelleria ben più grave, espresse il senso della vicenda con le parole “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.