GLI INCANTESIMI DI HOLLYWOOD
Houston, 11 dicembre 2012 – Anche il nostro Gabriele Muccino si è finalmente risvegliato dal suo incantesimo americano e si è accorto di “che lacrime grondi e di che sangue” lo show business!
Nel corso di una recente intervista a New York con Curzio Maltese il nostro ha, infatti, dichiarato candidamente: “…ho capito che cos’è davvero Hollywood, un’industria spietata dove la gente racconta balle dalla mattina alla sera. Contano solo i grafici, i test, il marketing, il profitto”.
Beh, meglio tardi che mai!
di Piero Cammerinesi (corrispondente di Coscienzeinrete Magazine dagli USA)
Anche se la sua reazione prende le mosse dalla stroncatura che il suo ultimo film, Playing for Keeps – si chiamerà “Quello che so sull’amore” in Italia – ha ricevuto negli USA, dobbiamo dare atto al nostro Muccino di aver – una volta tanto – parlato in modo forte e chiaro!
Perché saperlo, dai, lo sanno bene tutti quelli che lavorano nel cosiddetto star-system, ma dirlo apertamente è un’altra cosa…
Una cosa che fa bene alla verità ma che può anche essere molto, molto pericolosa.
Chi, infatti, ha avuto modo di conoscere chi c’è dietro allo show business, i gruppi cui si rivolgono registi e produttori per sapere in anticipo se un film ‘farà cassetta’ o meno e a quale prezzo non può accarezzare neppure per un attimo l’idea che vi sia molta libertà ad Hollywood.
A meno di chiamarsi Michael Moore o Oliver Stone, Francis Ford Coppola o Robert Redford o mostri sacri del genere che possono – entro certi limiti – permettersi anche di perdere soldi pur di dar vita alle proprie creature.
Il bravo regista italiano – oggi appesantito da una trentina di chili di troppo regalatigli dallo stress hollywoodiano – in realtà era partito nel film con un cast d’eccezione e uno script niente male ma ha dovuto subire imposizioni tali da snaturarne il risultato. “L’errore – continua Muccino – è stato forse illudersi di portare le sfumature agrodolci e artigianali della commedia all’italiana nella fabbrica mondiale dei generi cinematografici. Sì, qui i generi sono ferrei, si applicano protocolli. Il nostro modo di concepire la commedia è oltre le colonne d’Ercole, è come pretendere d’imporre il divieto delle armi in Louisiana. Se ti impacchettano il film ‘commedia sentimentale’ si aspettano che accadono certe cose, sempre le stesse”.
E il talento? – chiede l’intervistatore al buon Muccino – in fondo l’America riconosce il talento….
“Lo riconosce e lo insegue, vero, ma come il leone insegue la gazzella, per sbranarla. Non c’è rispetto per l’intelligenza del pubblico. Se devo fare un bilancio dopo sette anni e tre film, devo dire che ho imparato una marea di cose, come regista e uomo. Ma forse ero più sereno quando avevo di meno”.
Che dire? Un brusco risveglio davvero…
Il nostro però non poteva certo ignorare il fatto che Hollywood sia da sempre manovrato dalla sete di profitto – follow the money – piuttosto che da criteri artistici. È storia vecchia; basti considerare anche la filiera del product placement, vale a dire dei prodotti – abiti, gioielli, automobili, sigarette, ma anche armi – che vediamo all’interno dei film e che fruttano alle major milioni di dollari.
Meno evidenti sono invece i modi in cui gli interessi delle corporation che possiedono gli studios influenzano il prodotto finale.
I famigerati studios di Hollywood – le major – infatti oggi fanno parte di società molto più vaste, di cui costituiscono solo una tra le fonti di entrate.
Le major – Twentieth Century Fox (News Corp), Paramount Pictures (Viacom), Universal (General Electric / Vivendi), Disney (Walt Disney Company), Columbia TriStar (Sony), e Warner Brothers (Time Warner) – sono tra le corporation più grandi e potenti del mondo, gestite da avvocati e banche d’investimento. I loro interessi economici sono di fatto legati a lobby come l’industria degli armamenti, le banche o il petrolio, e sono – come ben descritto da Michael Moore – in grado di influenzare le decisioni persino del governo americano.
Naturalmente, il contenuto di un film di uno studio non necessariamente è sempre totalmente condizionato dagli interessi politici ed economici della sua società-madre. Ma anche se i vertici degli studios hanno margini di manovra per realizzare le pellicole che vogliono, tuttavia il contenuto che gli studios di Hollywood intendono dare ai film non può non riflettere gli interessi delle corporation che li possiedono.
E non è tutto.
Oltre alle corporation c’è la CIA, che, dal 1996, ha istituito il Media Liaison Office proprio per interfacciarsi con lo show business.
D’altra parte negli USA le agenzie di sicurezza nazionale hanno una lunga storia d’interferenza nel settore cinematografico. Basti pensare all’agente segreto Luigi G.Luraschi che, sotto copertura di dirigente Paramount, lavorava per il Psychological Strategy Board della CIA, manovrando le produzioni.
Ma non è ancora tutto.
La CIA non è, infatti, l’unico ente impegnato a ‘ispirare’ Hollywood, i cui vertici sono da sempre bersaglio delle manipolazioni da parte di varie agenzie statali. Nel 2000 è emerso, infatti, che funzionari della guerra antidroga della Casa Bianca avevano speso decine di milioni di dollari per ‘suggerire’ trame antidroga per le serie televisive in prima serata.
L’anno successivo – l’11 novembre 2001 – poi, vi fu un incontro a Hollywood tra il presidente Bush e l’allora capo di stato maggiore, Karl Rove, con rappresentanti di ciascuno dei maggiori studios di Hollywood per discutere su come il settore cinematografico avrebbe dovuto contribuire alla ‘war on terror’.
L’incontro fu, in realtà, solo uno di dei tanti tra Hollywood e la Casa Bianca tra l’ottobre e il dicembre 2001.
Il 17 ottobre, per reazione al 9/11, la Casa Bianca aveva annunciato la creazione della “Arts and Entertainment Task Force”; con la richiesta da parte del Congresso di influire su Hollywood per escogitare un messaggio efficace per l’ennesima guerra in cui si era imbarcata l’America.
Nel novembre 2001, Giovanni Romano, scrittore e produttore di un programma molto popolare, aveva confermato come le produzioni di Hollywood fossero state fondamentali per plasmare la percezione degli Stati Uniti all’estero.
Ma lo stretto collegamento tra Hollywood e gli apparati nazionali di sicurezza non si è mai allentato; l’ex-agente della CIA Bob Baer ha affermato recentemente: “C’è una simbiosi tra la CIA e Hollywood”. Ne parlava mentre raccontava come, proprio in quelle ore, l’ex direttore della CIA George Tenet fosse impegnato in delicati incontri negli studios di Hollywood.
E questo senza neppure entrare nel merito della consapevole inversione di valori spirituali e di palesi tentativi di controllo di massa ravvisabili in molti film hollywoodiani, in particolare negli ultimi anni.
In fondo lo stesso nome Hollywood – nomen omen – proviene da Holy Wood, ‘bosco sacro’, ma anche ‘legno sacro’ o ‘bastone di agrifoglio’ che poi era lo strumento con il quale il mago dell’occultismo realizzava gli incantesimi intesi a trasformare la realtà.
Forse chi ha dato questo nome a Hollywood sapeva bene il fatto suo, aspettandosi esattamente quello che poi si sarebbe realizzato: la nascita di un centro di potere quasi assoluto dei padroni attuali del nostro mondo – denaro, potere e menzogna – inteso a manipolare la realtà attraverso lo svago e la sottile e costante penetrazione delle immagini nelle nostre vite.
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