Libertà e doppia morale
La good news è che ieri, a Washington, la Camera dei Rappresentanti ha respinto per la seconda volta – sulla scia dell’indignazione sollevata dalle rivelazioni di Edward Snowden – la raccolta dati ‘a strascico’ dei tabulati telefonici da parte della National Security Agency, votando in favore del Freedom Act con maggioranza schiacciante (338 contro 88).
di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine)
Houston, 14 maggio 2015 – A proposito dov’è questa notizia sulla stampa italiana? Io non l’ho trovata, ma forse ai nostri connazionali poco importa la libertà, sono troppo presi a discutere della Champion League o del malore di Berlusconi.
Comunque sia, i sostenitori di una seria riforma delle agenzie d’intelligence, prima fra tutte la famigerata NSA – dopo l’appoggio manifestato loro dalla Casa Bianca – stanno ora lavorando per far passare al Senato sostanziose modifiche alla legislazione attuale, nonostante i principali gruppi che sostengono i diritti civili – tra cui l’American Civil Liberties Union e la Electronic Frontier Foundation – giudichino l’attuale progetto di legge assolutamente insufficiente.
Le organizzazioni che sostengono i diritti civili qui negli USA, preferirebbero, in altri termini, lo stralcio totale della sezione 215, che non è altro se non una specifica disposizione del Patriot Act che autorizza ampi poteri legali nell’acquisire documenti aziendali.
Il punto è – secondo questi gruppi – che il Freedom Act lascerà intatta la stragrande maggioranza della raccolta dati della NSA, in particolare fuori degli Stati Uniti.
In effetti, osservando le cose con maggiore attenzione, si viene a scoprire che il Freedom Act è una legge che si è andata via via annacquando nel corso dei vari passaggi nelle commissioni parlamentari, giungendo a trattare solo un aspetto dello spionaggio elettronico: quello telefonico.
Una vittoria di Pirro dunque?
Sembrerebbe proprio di sì.
O, per meglio dire – vista la sempre maggiore insofferenza dei governi verso chi non condivide ciecamente le loro opinioni – un diversivo, un contentino, per far poi passare una legislazione più complessa e più ‘blindata’ nei confronti dei difensori delle libertà civili, che autorizzi la raccolta indifferenziata dei dati.
Il trend sembra essere questo, e non solo da questa parte dell’Atlantico.
In Europa va anche peggio; basti pensare alle nuove linee-guida della sua politica che David Cameron ha chiaramente espresso appena rieletto.
Cosa aveva affermato, infatti, di ritorno dall’incontro a Buckingham Palace con la regina, dopo la plebiscitaria rielezione?
“Credo fermamente che ci troviamo sul punto di realizzare qualcosa di molto speciale per il nostro Paese”
Ecco, qualcosa di molto speciale sta arrivando…
Di che si tratta?
Ebbene, il governo del Regno Unito sta studiando l’adozione di nuovi poteri di antiterrorismo, compresi piani per combattere ogni tipo di ‘estremismo’ (ma cos’è l’estremismo?) e per limitare coloro che cercano di ‘radicalizzare’ i giovani.
Eccoli i poteri che i prodi difensori britannici della libertà e della democrazia vogliono acquisire:
– autorizzazione di divieto di trasmissioni e obbligo di presentare in anticipo alla polizia qualsiasi pubblicazione prevista sul web, sui social media e sulla stampa;
– piani per vietare organizzazioni estremiste che cercano di minare la democrazia o utilizzare espressioni di odio in luoghi pubblici;
– nuovi poteri per chiudere locali – moschee incluse – dove vi siano estremisti che cerchino di influenzare le persone.
Ora, come si può notare, tutto gravita intorno alla definizione del termine ‘estremista’.
Ma cos’è veramente un estremista?
Il dizionario recita testualmente “chi manifesta estremismo, specialmente in politica; sostenitore di idee, misure estreme”.
Ma estreme rispetto a cosa? Esiste un arco di idee ‘centrali’ o ‘regolari’ rispetto alle quali alcune sono ‘estreme’?
Ma – e questo è il punto più importante – anche se così fosse, tali idee dovrebbero comunque – in qualità di idee, opinioni, appunto – essere considerate, in particolare dagli impavidi difensori della libertà di opinione britannici, del tutto ammissibili e rispettabili.
Invece no.
In realtà il nostro Cameron sostiene che qualsiasi idea o presa di posizione rivolta a eventuali obiettivi politici considerati ‘estremisti’ non solo è un crimine, ma può essere fisicamente impedita in anticipo.
Così, dopo la plebiscitaria vittoria elettorale, il primo ministro David Cameron ha pensato bene di emanare un vero e proprio decreto orwelliano in cui si definisce il motivo per cui vengono considerati necessari i poteri di Polizia del Neo-pensiero con queste parole: “Per troppo tempo siamo stati una società passivamente tollerante, che diceva ai nostri cittadini ‘finché rispetterete la legge, vi lasceremo in pace’. Questo di regola voleva dire che noi avevamo un atteggiamento di neutralità rispetto a valori differenti. E questo ha alimentato lo sviluppo di estremismo e proteste”.
Ma d’ora in poi – prosegue il nostro primo ministro – ai cittadini non sarà sufficiente soltanto “rispettare la legge”; essi dovranno astenersi dal credere o esprimere idee che non piacciono al Governo di Sua Maestà.
“Questo Governo – continua Cameron – volterà definitivamente pagina su questo approccio fallito. Come partito di una nazione noi governeremo come una nazione e metteremo il Paese d’accordo“.
E chi non è d’accordo?
Niente da fare, deve cambiare idea.
La libertà vale solo per Charlie Hebdo e per quelli che devono poter esprimere il diritto all’informazione ed alla satira politically correct.
Per gli altri, no.
“Perché presidenti, re, primi ministri – si chiedeva polemicamente, all’indomani dei fatti parigini, Ramzan Kadyrov, presidente della Repubblica Cecena – non hanno mai condotto una marcia di protesta in relazione alla morte di centinaia di migliaia di afgani, siriani, egiziani, libici, yemeniti, iracheni?”.
Ma se le parole di Cameron hanno un vago sapore di minaccia e di tirannia, ascoltare questa intervista alla BBC della Segretaria di Stato, Theresa May, spazza via definitivamente ogni eventuale dubbio.
Quando l’intervistatore insiste nel chiederle di definire il significato di ‘estremismo’ – di indicare, in particolare, il passaggio tra legittimo dissenso ed ‘estremismo’ criminale – lei elude candidamente la questione, recitando slogan inquietanti sulla necessità di fermare coloro che cercano di “minare i nostri valori britannici” mentre, sostiene, “noi siamo uniti come una società unica, una nazione”.
Un popolo, una nazione, una guida…ma non c’era già qualcun altro che lo diceva?
Insomma sembra proprio che stia cadendo la maschera dell’autoritarismo occidentale rivelandone il vero intento: richiedere sempre maggiori poteri – di limitare la libertà – in nome della libertà.
È vero, sono in molti a contrastare in tutto il mondo la libertà di opinione e di libera espressione con minacce e intimidazioni, ma attualmente la minaccia di gran lunga più subdola e potente – quanto meno in Occidente – non sembra provenire dai musulmani radicali, ma dai governi occidentali uniti nello sforzo comune di limitare la libertà con il pretesto di difenderla.
Eppure, purtroppo, sembra che nessuno si accorga di questo paradosso, né un simile evidente stato delle cose ha innescato cortei o marce o ampie condanne da parte dei giornalisti occidentali.
Come sostiene il professor Bill Durodié dell’Università di Bath “la finestra della libertà di parola è stata decisamente chiusa solo pochi mesi dopo che tanti leader politici marciavano per simulare solidarietà per i fumettisti assassinati in Francia”.
Charlie Hebdo avrebbe dovuto insegnare che il mondo occidentale è profondamente e appassionatamente impegnato per la libera espressione e pronto a marciare e a lottare contro i tentativi di sopprimerla.
Ma è davvero così?
Non direi proprio.
Basti pensare che la strenua difesa della libertà di stampa viene proprio da quei Paesi che giustificarono il bombardamento della sede della televisione serba a Belgrado nel 1999, definendola “il ministero delle menzogne”; che non batterono ciglio allorché Israele bombardò la TV Al-Manar a Beirut nel 2006; che si girano dall’altra parte quando si tratta di denunciare gli assassinii di giornalisti palestinesi, messicani o colombiani non ‘allineati’ con le politiche dei loro Paesi.
Così la retorica pro-libertà in realtà si traduce nel suo esatto contrario, generando di fatto nuove ondate liberticide, mascherate da misure anti-terrorismo, erodendo sempre più quelle “garanzie democratiche” ormai in via di estinzione.
Come nota giustamente Giorgio Cremaschi: “L’ipocrisia domina una Europa ove ci si proclama Charlie dopo il massacro di Parigi ma poi si condannano le vignette che ritraggono come nazista il ministro delle finanze della Germania. (…) Questa Europa non è più un punto di riferimento, ma un ostacolo alla ripresa del progresso dell’umanità”.
Evidentemente, anche per la libertà, ci sono due pesi e due misure.
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