L’FBI ancora con le mani nel sacco
Del Keystone XL in Italia se ne sa poco o nulla. Ma è comprensibile, dato che di gatte da pelare nel Belpaese ne abbiamo in sovrabbondanza e non ci servono quelle degli altri.
di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine)
Houston, 12 Maggio 2015 – Beh, comunque il Keystone XL è il progetto di un oleodotto, lungo 1900 chilometri, per trasportare bitume dal Canada fino alle raffinerie in Texas dove viene trasformato in petrolio. Il progetto – che una volta ultimato è in grado di trasportare fino a 700 mila barili al giorno – ha trovato fin da subito una ferma opposizione da parte degli ambientalisti, anche se i repubblicani ne hanno fatto una bandiera di progresso e libertà.
Poi, pochi mesi fa, il 24 febbraio scorso, il veto di Obama.
Una manciata di giorno dopo, il 4 marzo, il Senato cerca di annullare il veto presidenziale, ma la seduta non trova la maggioranza necessaria di due terzi, nonostante i 62 che votano si contro i 37 contrari (ad annullare il veto).
La storia di questo progetto è dunque ancora tutta da decidere, nonostante l’oleodotto sia quasi del tutto completato e già pompi petrolio dal gennaio 2014.
Ma non è di questo che voglio parlare. Se il progetto andrà a buon fine o meno è un complesso puzzle economico-politico-strategico dagli esiti imprevedibili.
Quello che invece era prevedibile – e infatti si è puntualmente verificato – è la reazione governativa nei confronti di chi non è d’accordo con il complesso militare-politico-strategico del Paese.
Come non ci stancheremo mai di denunciare, Washington è sempre meno tollerante nei confronti di qualsivoglia dissidenza o diversità di opinione che possa ledere gli interessi delle classi dominanti.
Ma, fortunatamente, non sempre tutti dormono mentre i ladri entrano in casa e qualche volta anche i mariuoli vengono presi con le mani nel sacco.
Oggi è toccato ancora una volta – avevamo parlato in un precedente articolo del terrorista sponsorizzato dai federali – all’FBI.
Con uno scoop pubblicato da The Guardian di oggi, Paul Lewis denuncia senza mezzi termini l’FBI per aver spiato e controllato privati cittadini che avevano pacificamente manifestato contro il progetto.
Salta fuori dunque che l’FBI ha infranto le sue stesse regole di comportamento, non avendo chiesto l’autorizzazione al magistrato per mettere sotto controllo delle persone non sospettate di terrorismo o di mettere a rischio la national security, il totem che, dal 9/11 in poi, è il passepartout per ogni abuso di Washington.
Così i documenti saltati fuori dai cassetti dell’FBI mostrano che dal novembre 2012 al giugno del 2014 i federali, partendo dalla sede di Houston – aperta, guarda caso, all’inizio del 2013, quando iniziava a montare l’onda della protesta – hanno condotto indagini, senza autorizzazione, sulle vite dei manifestanti, sulle identità di coloro che scattavano fotografie, infiltrando anche almeno una spia tra gli attivisti.
Candidamente l’FBI ha affermato di voler condividere con TransCanada – l’azienda costruttrice di Keystone XL – “ogni informazione pertinente riguardante qualsivoglia minaccia” per la Compagnia.
E qui non parliamo di black block o roba del genere; scene come quelle viste a Milano o a Genova sono del tutto impensabili da queste parti. Parliamo di manifestanti assolutamente pacifici che non hanno violato legge alcuna se non – raramente – quella di attraversare i limiti imposti dalla polizia.
Nessuno di loro ha precedenti penali né storie di violenze.
Ciò nonostante sono stati arrestati a dozzine durante le manifestazioni texane, anche se poi nessuno di loro è mai stato accusato di violenze su persone o cose.
Nei memo dei federali coloro che protestavano per la realizzazione della parte finale del progetto in Texas vengono definiti environmental extremists vale a dire estremisti ambientali che non credono “che i vantaggi di nuovi posti di lavoro e di prezzi più bassi del petrolio siano più importanti di questioni come inquinamento, protezione dell’ambiente, salute e diritti di proprietà”.
Ma non basta.
Il Keystone XL viene definito come “vitale per la sicurezza e l’economia degli Stati Uniti”.
Wow.
Interrogata, l’FBI risponde che è vero, “inizialmente non si avevano le autorizzazioni richieste dalla politica dell’agenzia” ma che, successivamente “una volta scoperto l’episodio – meglio sarebbe dire scoperti con le mani nella marmellata – “si è rimediato, sono state avviate azioni correttive e il disguido – sì proprio così, il disguido lo chiamano – è stato comunicato correttamente nel meccanismo di controllo interno dell’FBI”.
Ecco, questo disguido è stato scoperto, e tutti gli altri?
Quando accetteremo l’idea che questa è la regola e che ormai la libertà in questo Paese – e non solo in questo – è solo un lontano ricordo, sarà sempre troppo tardi.
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