Pensare, sentire, volere
Continua a ripresentarsi, nelle occasioni piú varie, il fenomeno carsico di un inappropriato sottostimare l’importanza della trasformazione delle forze animiche del sentire e del volere rispetto alla – pur giustificata – predominanza del pensare nella Via spirituale.
di Piero Cammerinesi
«Riguardo al sentiero della conoscenza ‒ che deve essere costruito sul modello degli impulsi morali ‒ sia detto chiaramente: sul sentiero della conoscenza occulta dobbiamo moralizzare tutto il nostro conoscere; le nostre leggi conoscitive, che altrimenti sarebbero solo teoretiche, devono trasformarsi in leggi morali interiori» (Rudolf Steiner, Zurigo 15 gennaio 1912)
Vengono spese considerevoli fatiche intellettuali per dimostrare qualcosa che – se valutato serenamente nella sua essenza – si dimostrerebbe spesso una questione mal posta.
Vediamo perché.
Nella Scienza dello Spirito – sia nell’originaria formulazione di Rudolf Steiner che in quella di Massimo Scaligero – il pensiero umano è il veicolo che ci consente, se opportunamente utilizzato, di passare dal consueto livello di non libertà e di visione del mondo limitata al solo mondo fisco-sensibile – proprio della nostra attuale coscienza – a una superiore libertà e all’esperienza del sovrasensibile.
Rudolf Steiner diede delle indicazioni molto precise sul sentiero da percorrere, a partire dal livello iniziale, ben espresso nel libro Iniziazione, sino al piú elevato, con la Classe di Scienza dello Spirito.
Massimo Scaligero, da parte sua, ha sempre rinviato – con l’onestà interiore ed esteriore che lo caratterizzava – i discepoli allo studio e all’applicazione delle direttive di colui che lui chiamava il Maestro dei nuovi tempi, vale a dire Rudolf Steiner.
Nei suoi libri Scaligero ha poi ulteriormente approfondito – in modo unico e straordinariamente significativo – il lavoro che l’asceta deve affrontare nel suo cammino verso la crescita interiore.
Ora, nei suoi libri, come in quelli di Steiner peraltro, si fa riferimento a una separazione tra pensare, sentire e volere. Questa separazione è didatticamente necessaria per comprendere analiticamente le modalità con cui l’essere umano interagisce con il mondo e con se stesso.
Rudolf Steiner ci dice testualmente che le tre forze dell’anima – pensare, sentire e volere – unite al corpo nella vita ordinaria, si devono rendere indipendenti da esso con l’iniziazione. Al tempo stesso esse si separano tra loro dopo la morte del corpo fisico.
Nella coscienza ordinaria, tuttavia, esse – per la maggior parte delle persone – sono difficilmente distinguibili, soprattutto perché di regola abbiamo consapevolezza di un sentimento, di una percezione e finanche di un nostro impulso all’azione, tramite il pensiero.
D’altra parte, è il sorgere in noi – grazie all’attività meditativa – di un pensiero non legato alle percezioni esteriori ma cosciente della propria sorgente e del proprio movimento, che ci consente di iniziare a trasformare il modo con cui guardiamo al mondo e a noi stessi.
In questo senso il pensiero – nel contesto dell’evoluzione interiore del discepolo spirituale – ha decisamente una prevalenza su sentire e volere.
Stesso discorso – questa volta a livello temporale – vale per la successione dei vari passaggi che caratterizzano il nostro cercare, abbracciare e seguire un percorso spirituale.
Infatti – pur facendo doveroso riferimento a una scelta prenatale – è, a livello di coscienza ordinaria, grazie al pensiero che ci rendiamo conto che:
1. le interpretazioni ordinarie del mondo non ci soddisfano;
2. sentiamo la necessità di cercarne altre;
3. una volta trovata quella che ci convince, comprendiamo che dobbiamo seguirne le indicazioni.
Ma giunti al terzo passaggio ci avvediamo che sia il sentire sia il volere sono coinvolti nel nostro progetto di trasformazione; infatti, sentiamo venerazione o rispetto per il Sentiero, e questo ci aiuta a volerlo percorrere e a prendere quindi la decisione di farlo.
La questione si fa ancora piú interessante proseguendo oltre sul Sentiero.
Infatti, una volta che s’inizi a praticare gli esercizi di base della Scienza dello Spirito – che sono cinque, confluendo nel sesto che è la realizzazione della loro armonia – mirati a sviluppare armonicamente le tre forze dell’anima, ci rendiamo conto ben presto che essi sono tutti fondamentali per una crescita equilibrata.
Se cosí non fosse, Steiner o Scaligero avrebbero detto: «Fate solo la concentrazione, gli effetti degli altri verranno di conseguenza». Ma cosí non è. Anzi, in varie occasioni – ad esempio nel libro Iniziazione – viene messo in guardia il discepolo dalla predominanza di una delle tre forze dell’anima – pensare, sentire, volere – sulle altre. Un pericolo tale da provocare squilibri la cui gravità è direttamente proporzionale al cammino percorso e quindi al livello evolutivo raggiunto.
Una prevalenza del volere su pensare e sentire può condurre a iperattività e persino alla violenza; una prevalenza del sentire su pensare e volere può condurre a misticismo e debolezza interiore; un prevalere del pensare sulle altre due rischia di avvolgere il discepolo nella fredda forza contemplativa incapace di trasformarsi in sentimenti e azioni morali nei confronti degli altri.
Non ci sono dubbi che sia indispensabile un’azione continuativa e rigorosissima su di sé. Massimo ci diceva espressamente che dovevamo essere “teppisti con noi stessi” nella pervicacia dell’applicazione meditativa.
Ma fu lo stesso Scaligero a scrivere in Il Logos e i Nuovi Misteri che «la stessa Via del pensiero rischia di divenire una via dell’orgoglio o del sublime egoismo, se non conduce alla consacrazione di sé al Divino e all’amore illimitato per il prossimo: appunto il ritrovamento della Iside-Sophia».
Non ci sono altresí dubbi che sia il movimento stesso del pensare a essere centrale nella Via; non pensare pensieri, ma pensare il pensiero. Quel pensiero, che come tale, rappresenta un’assoluta unicità nel nostro essere uomini e che è la base di partenza di ogni nostra reale azione conoscitiva.
Ma immediatamente dopo – dove il dopo non ha un valore temporale determinato – come nel succedersi d’inspirazione ed espirazione, il discepolo deve prontamente riversare le sue esperienze interiori, i conseguimenti raggiunti con gli esercizi, le cose in piú che ha capito, le forze che ha acquisito, nel suo sentire e volere. Piú o meno in questi termini: «Oggi ho sperimentato questa forza interiore nel mio pensiero, forza che sento rappresentare l’unica cosa di veramente libero che possiedo. Questa maggiore energia e questa chiarezza conseguite le trasformo in comprensione dell’altro essere umano e in successiva azione di amore che deve permeare la mia vita».
Una sinfonia in due movimenti. Se il primo è l’aprirsi al Mondo Spirituale – o scalarlo con determinazione, a seconda dei punti di vista – per riceverne i doni, o per conquistarseli – il secondo è non meno importante, perché significa aprirsi al mondo delle anime per restituire quei doni con un mutato sentire e con un volere mirato a quell’intento.
«Senza che nulla ci resti attaccato alle mani», come usava dire Mimma Benvenuti.
«Affiancando il sentire al pensare», come ci esorta a fare Judith von Halle.
«Consacrando se stessi al Divino e all’amore illimitato per il prossimo» come scrive Massimo Scaligero.
Ebbene, come si diceva all’inizio, mi sembra che questo aspetto del percorso venga a volte trascurato, allorché si mette l’accento esclusivamente sul primo movimento, dimenticando che se non restituiamo quello che ci siamo conquistati, il nostro bicchiere, non svuotandosi, non potrà venir ricolmato.
Prendiamo il respiro; esso è una funzione corporea che consiste in due movimenti – entrambi fondamentali – inspirazione ed espirazione. Non si può emettere aria se non la si ha dentro i polmoni, né la si può trattenere senza emetterla oltre un certo grado. Dobbiamo necessariamente distinguere tra inspirazione ed espirazione, ma non ci verrebbe mai in mente di affermare che dobbiamo solo inspirare senza mai espellere l’aria dai polmoni. Allo stesso modo, se si continua a versare acqua in un bicchiere già colmo, il liquido fuoriesce, non viene piú accolto dal contenitore.
Perché dunque questa svalutazione di sentire e volere? Spesso alla base di tale unilateralità vi è la preoccupazione – per certi versi certamente giustificata – che se non s’insiste abbastanza sull’attività meditativa, la maggior parte delle persone tende ad adagiarsi in un facile surrogato intellettuale o sentimentale della Scienza dello Spirito.
Giusto, ma se per fugare questo rischio – mettendo in secondo piano le altre due forze dell’anima, il sentire e il volere – non siamo aderenti alla verità del percorso, facciamo quello che fece la Chiesa cattolica allorché – per evitare che l’uomo, pensando di avere varie vite terrestri a disposizione, si adagiasse in questa vita senza il dovuto impegno morale – cancellò la verità della reincarnazione dalla dottrina ufficiale. In quel caso una lecita preoccupazione condusse a risultati disastrosi; purtroppo in ambito spirituale il fine non giustifica i mezzi.
Altra obiezione dei sostenitori di un’esclusiva predominanza del pensare sulle altre forze dell’anima è che secondo loro, qualora si porti avanti in assoluta serietà ascetica il lavoro sul pensare, le altre forze dell’anima debbano per necessità svilupparsi di conseguenza.
Due considerazioni su questa obiezione:
1. se cosí fosse non ci troveremmo di fronte ad un’ampia messe di dimostrazioni di come lo squilibrio nell’uso delle forze dell’anima abbia provocato danni enormi in molti discepoli della Via spirituale;
2. se cosí fosse Steiner, Scaligero e, non ultima, Mimma Benvenuti, non avrebbero instancabilmente messo l’accento sulla necessità di trasformare costantemente ogni conseguimento del pensiero in amore per gli altri. Avrebbero detto: «Fate gli esercizi di concentrazione a piú non posso e il resto viene da sé».
Certo, rispetto al primo punto mi si potrebbe ribattere: «…evidentemente non si è lavorato a sufficienza», tuttavia, anche volendo ammettere che il discepolo lavori in modo impeccabile sul suo pensare, deve fare comunque i conti con la sua natura, il suo carattere, le sue inclinazioni, i nodi karmici, l’elaborazione da parte dell’Io del proprio astrale, eterico fino allo stesso fisico.
Ora, a chi sostiene che «la vera azione è soltanto interiore» – e per certi versi è certamente possibile concordare con quest’asserzione – vorrei suggerire di riflettere sul fatto che spesso l’equivoco è confondere il punto dove ci troviamo ora con quello che vogliamo raggiungere e che diamo erroneamente per raggiunto.
Certo, «la vera azione è soltanto interiore», ma io sono sul Sentiero, non sono ancora arrivato alla mèta. Se allo stato attuale sperimento a tratti esperienze spirituali, non sono nella condizione dell’Iniziato solare, non sono ancora in grado di vedere trasformati il mio sentire e il mio volere esclusivamente grazie agli esercizi del pensiero. Anzi, spesso è proprio l’inverso, e a questo si riferiva Steiner quando parlava – nel caso del prevalere del pensare su sentire e volere ‒ di un allontanarsi del discepolo dal mondo, chiuso in una smisurata brama di saggezza.
Insomma, quando io – discepolo sul Sentiero – esco nel mondo, esercito necessariamente l’attività delle altre due forze, sentire e volere, ed è fondamentale che io vi riversi quanto ho acquisito nel mio progredire sul Sentiero.
«Li riconoscerete dai frutti». I famosi “frutti” della crescita spirituale.
Certo tutto deve essere equilibrato, ma i cinque esercizi di Steiner – se attuati come indicato dall’Autore – dovrebbero condurre proprio a tale equilibrio.
Rivolgendo ora l’attenzione alla sfera del volere, all’attività dell’uomo nella sua quotidianità, certamente ci avvediamo che un attivismo senza misura può trasformarsi in una sorta di alibi per non dedicarsi con determinazione alla parte piú dura dell’opera, vale a dire a concentrazione e meditazione.
Ma non è l’attività a essere sbagliata bensí l’attivismo, che è tutt’altro. Una cosa è pensare che tutto si possa risolvere con l’attività esteriore, un’altra che il nostro operare interiore si debba tradurre in sentimenti e azioni coerenti nei confronti del mondo. Il mio sentire deve aprirsi all’ascolto dell’altro, devo fargli sentire la mia comprensione, devo portare nel mondo l’amore che mi sono conquistato e che è il comandamento fondamentale della Via Cristica. Se l’altro non è momentaneamente in grado di accogliere la Via impervia cui io sono consacrato, non lo lascio sdegnato in mezzo al guado. Cerco di indicargli, se richiesto – grazie al mio modo di essere prima ancora che alle mie parole ‒ l’inizio del Sentiero. Con umiltà e semplicità.
Altro aspetto cui vorrei dedicare qualche riflessione è il problema delle ‘contaminazioni’.
Chi sostiene una prevalenza esclusiva del pensare sulle altre forze dell’anima nutre a volte una suprema indifferenza verso l’agire esteriore, che si trasforma in disprezzo qualora quest’ultimo, in qualche modo, assuma coloriture che lo possono far assimilare alla politica.
Anche su questo vorrei richiamare l’attenzione con due considerazioni:
1. se tale posizione fosse del tutto giustificata perché mai Rudolf Steiner avrebbe donato all’umanità una via sociale come la Tripartizione, o quelle che vengono conosciute come le “figlie di Antropos-Sophia” vale a dire arte, medicina, agricoltura, pedagogia e via dicendo? Perché prendiamo a modello il fondatore dell’Antroposofia solo per quel tanto che coincide con le nostre convinzioni e inclinazioni?
2. a parte la nostra attività strettamente interiore, appena terminiamo il nostro opus meditativo, noi entriamo nella sfera sociale e politica, con quello che diciamo, scriviamo, facciamo, con il nostro voto, con ciò che acquistiamo al negozio, con le nostre scelte di vita ecc.
Allora perché non immettere consapevolmente anche in questi ambiti i risultati dei nostri conseguimenti interiori? Perché non trasformare noi stessi – ma anche l’ambiente intorno a noi – nella direzione che ci indica il nostro essere sempre piú aperti al mondo, non negando la physis ma riconoscendola come manifestazione di un mondo piú vasto, il Mondo spirituale, appunto?
Rudolf Steiner era un uomo irradiante amore e generosità, come lo era Massimo Scaligero, peraltro; entrambi si mostravano severi ed esigenti solo con chi si era portato a un livello di coscienza che implicava responsabilità piú alte. Per il resto – basta leggere le sue lettere, le conferenze per gli operai, le testimonianze dei discepoli – per Steiner il secondo movimento era regola di vita.
Certo ‒ si potrebbe obiettare – il primo per lui era un dato di fatto già acquisito.
Ma anche questo non è vero, sia perché egli affermò spesso come anche le sue conoscenze e le sue esperienze interiori si fossero andate modificando nel tempo, sia perché, comunque, ognuno deve misurarsi con le proprie capacità e limitazioni.
Se – nei limiti di queste ultime – si fosse dato negli anni maggior peso all’‘espansione’, al secondo movimento, non con buonismi di sorta, ma nella consapevolezza della grande responsabilità che ogni autentico ricercatore spirituale contrae nei confronti del suo prossimo per il solo fatto di essere tale, forse il degrado della società ‒ cosí come delle congreghe piccole e grandi, arroccate nelle proprie inamovibili convinzioni ‒ sarebbe stato limitato se non evitato.
Oggi il risveglio delle coscienze comporta per noi il preciso dovere di essere parte attiva di questo rinnovamento con pensieri, parole e opere.
In particolare in questo periodo della storia umana – grazie anche alla vastissima diffusione delle notizie e delle comunicazioni sul web ‒ esiste un’enorme sete dello Spirituale da parte di entità umane molto eterogenee e che necessitano linguaggi e indicazioni differenti.
Non possiamo certamente nasconderci che non tutti sono pronti ad abbracciare l’impervia Via del pensiero, ma tali persone – che pur ricercano ardentemente una via verso il sovrasensibile – non devono essere abbandonate a se stesse solo perché non adeguate ai nostri standard.
Verso quest’umanità il discepolo della Via spirituale ha un dovere ben preciso: conoscendo la legge evolutiva della totale corresponsabilità e, al tempo stesso, il fatto che non ci evolveremo come incarnazione planetaria fintantoché tutti gli uomini non si saranno evoluti insieme a noi, dovrebbe trarne le debite conseguenze.
Pertanto, quando un amico ci chiede un consiglio, quando sappiamo che una nostra parola ‒ che scaturisca dal nostro lavoro spirituale e dalla nostra intuizione interiore ‒ potrebbe essere d’aiuto a una persona che ha dei problemi, non abbiamo solo il diritto di farlo, ma anche il dovere. Il dovere di restituire quello che abbiamo ricevuto con tanta abbondanza dal Maestro, dalle Guide, dal Mondo spirituale, dalla vita. Non per protagonismo o presunzione, tanto meno per fare del proselitismo, ma, nel rispetto della libertà dell’altro, sene comprendiamo l’intima richiesta, nei limiti delle nostre capacità, con semplicità e umiltà, la nostra voce deve farsi udire. «Consacrando se stessi al Divino e all’amore illimitato per il prossimo».
Dei conseguimenti del nostro pensare fa parte anche la fantasia morale, come indicato da Steiner allorché ribadí in varie occasioni come sul sentiero della conoscenza occulta sia necessario moralizzare tutto il nostro conoscere, conoscere che, in caso contrario, non sarebbe altro se non un atto esclusivamente teoretico, trasformandolo in leggi morali interiori, le quali, a loro volta, diano vita a sentimenti ed azioni morali in grado di ‘contagiare’ il mondo circostante.
Fantasia morale significa indipendenza della mia scelta da leggi, religioni, consuetudini ecc. nonché consapevolezza delle mie scelte morali e conseguentemente delle mie azioni.
Se correttamente attuata, porta a corrispondenza di spiritualità e vita. Ad una coerenza superiore, insomma.
Ultimo punto cui dedicare qualche pensiero è quello delle ‘fazioni’, delle cerchie di discepoli ‒ degli stessi Maestri ‒ l’una contro l’altra armate.
Fa davvero molto pensare che anche argomenti come, ad esempio, la prevalenza o meno del pensare sul sentire e volere divengano motivi di critica, di discordia, di scontro.
Perfino il modo di condurre una riunione, o di fare un esercizio si trasformano a volte in occasioni per versare fiumi d’inchiostro in cui galleggiano personalismi, pregiudizi e condanne di ogni sorta.
Invece di ricondurre i differenti – e parziali ‒ punti di vista all’unica sorgente dell’insegnamento, si discetta e si sentenzia su questioni di principio il cui significato dovrebbe venir sperimentato e non dialettizzato.
Ma tutti ben convinti di essere nel giusto; anzi, che la propria posizione sia l’unica legittima, mentre gli altri sono dei traditori, o, nella migliore delle ipotesi, degli avversari da tacitare.
Mettendo in pratica i princípi morali della Scienza dello Spirito con la medesima coerenza con la quale la Chiesa pretendeva di realizzare sulla terra la parola di un Dio d’amore bruciando eretici, pianificando crociate e avallando i pogrom popolari in combutta con l’autorità imperiale zarista.
Dimenticando che – nello spirito della nostra Via ‒ l’altro, se lavora nella stessa mia direzione, pur vedendo alcuni aspetti del cammino in modo diverso da me, non va criticato ma capito.
L’altro può avere un’opinione diversa dalla mia perché siamo uomini, perché vede questo da un’angolazione diversa, ma è la stessa cosa, perché l’altro «è la gamba sinistra ed io sono la destra», come ci dice Judith von Halle. Dimenticando che l’altro, con le sue opinioni, le sue capacità, deve costituire per me un arricchimento. Egli mi offre infatti l’occasione di capire le modalità del suo pensare/sentire/volere, mi dà la possibilità di accogliere pensieri, considerazioni, giudizi cui io – per la mia specifica natura – non sono in grado di arrivare. Posso avere l’intera visione dell’albero solo se collego tra di loro le varie prospettive e non considero la mia come l’unica valida. È molto semplice credere che colui che sostiene qualcosa di diverso da noi, sia un nostro avversario.
Secondo quanto dice Rudolf Steiner (O.O. N° 127): «Si può anche facilmente scambiare il proprio parere con quello che pensiamo sia la verità. Ma la vita antroposofica fiorirà e porterà con sé i frutti giusti per la vita spirituale del futuro, quando ci incontreremo su un terreno piú ampio, ci incontreremo nella comprensione intima di anima con anima, e non solo con chi crede in ciò che noi stessi crediamo, ma anche con chi, costretto dalle circostanze delle sue esperienze, dal percorso della sua vita, magari apparentemente sembrerà sostenere l’opposto di quanto noi riteniamo giusto. Una vecchia morale, che va verso il tramonto, ci ha insegnato ad esercitare amore e tolleranza nei confronti di coloro che hanno i nostri stessi pensieri e sentimenti. Un’autentica vita antroposofica dovrà riversare sempre piú nei cuori degli uomini quella tolleranza, molto piú profonda, che ci renderà possibile trovare una comprensione, un impulso reciproco e una fraterna convivenza umana, anche se non ci troveremo sin dall’inizio in accordo con l’altro con i nostri pensieri e sentimenti».
Ascoltare l’altro con spregiudicatezza e fiducia dovrebbe scaturire come effetto necessario dalla mia Via spirituale; il collegarmi con lui e l’agire – interiore ed esteriore – insieme a lui dovrebbe ‒ non nascendo da interessi personali o dal comune denominatore dell’appartenenza a un partito, a una religione ecc. ‒ porre le basi di una autentica fondazione di comunità.
La nostra comunità, quella cui i nostri comuni Maestri hanno dedicato con amore e abnegazione la loro vita.
Quella di cui si fatica a presagire l’alba.