Il referendum che non conta

Gina miller

Il referendum che non conta

di Enrico Carotenuto

Il popolo inglese ha scelto. Il popolo inglese non conta niente. Questo in pratica è ciò che sembra venir fuori dalla vicenda che ha visto vincere il ricorso di una cittadina britannica contro il governo inglese che voleva avviare la brexit.

Vediamo meglio che è successo.

Innanzitutto occorre dire che tutti sapevano che il referendum inglese non era vincolante per il parlamento, e che quindi la battaglia per l’uscita dalla UE non era affatto finita. Tutti sanno che la maggioranza assoluta dei parlamentari inglesi è favorevole a restare nella UE.

Il referendum era stato fatto per mettere a tacere una volta per tutte le voci contrarie, con la “certezza”, viste le forze mediatiche in campo, che la maggioranza avrebbe votato per rimanere. Ma per una questione di pentole e coperchi, e per la non piccola uscita allo scoperto della regina a favore del “leave”, il parlamento britannico si è ritrovato completamente spiazzato, il governo conservatore europeista è caduto ed è stato sostituito da uno conservatore indipendentista. Che però è sempre sostenuto da deputati in prevalenza europeisti, che come tutti i politici, preferiscono rimanere attaccati alla poltrona. Quindi ci troviamo di fronte ad un governo che ha il mandato, per così dire, dalla volontà popolare, ma non dai propri parlamentari, che di consuetudine avrebbe il potere di avviare il brexit, ma questa consuetudine è stata messa in discussione da una sentenza giudiziaria.

Il sistema inglese prevede che il governo abbia speciali poteri per la firma (o la rescissione) di trattati, poteri speciali chiamati “Royal Prerogative”, ovvero la prerogativa reale, il rimasuglio del potere assoluto della regina, che permette al governo di fare varie cose, tra le quali dichiarare guerra e firmare trattati, senza richiedere l’approvazione del parlamento. In Europa, nel 1972, ci sono entrati proprio usando la Royal Prerogative. La causa intentata dalla signora Miller mette in discussione questo potere del governo in relazione all’attivazione del famigerato articolo 50, ovvero l’avvio senza ritorno dell’iter di uscita dalla UE.

Il Primo Ministro inglese, infatti, voleva utilizzare proprio questa “prerogativa” per avviare il brexit a marzo 2017. Ora, se la sentenza dell’Alta Corte inglese che da ragione alla Miller non verrà annullata in un grado più alto di giudizio, Theresa May dovrà avere il voto favorevole del parlamento per poter procedere alla brexit. Un parlamento, dicevamo, zeppo di europeisti. 

E qui diventa un bel macello: da una parte la volontà popolare chiaramente espressa, dall’altra la volontà dei parlamentari, i quali però dovranno scegliere attentamente da che parte stare in caso di voto. Si, perchè in caso di sfiducia al governo si dovrebbe riandare alle elezioni ed i deputati britannici sarebbero costretti a chiedere il voto alle stesse persone a cui avrebbero appena detto “chi se ne frega di quello che pensi tu”. Che da noi è roba all’ordine del giorno, ma gli inglesi, per certe cose, tendono a prendersela. C’è da dire comunque che chi farà il buono e il bravo, difficilmente non si vedrà premiato con un bel posto ben remunerato nella superburocrazia europea. In fondo, è proprio questo il leit-motiv della UE: “Facciamoli votare, tanto poi chi se ne frega”.

Però è presto per dire come andrà a finire.

 

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