Il processo a Standard & Poor’s. Vane speranze?
di Enrico Carotenuto
Ve la ricordate Standard&Poor’s? E’ una delle tre agenzie di rating private, che ha in pratica potere di vita e di morte sugli stati, potendo decidere a proprio piacimento se uno stato (ma anche una banca) sia “degno di fiducia”. Vi ricordate anche quando la “crisi dello spread” fece cadere il governo, che venne affidato a Mario Monti? Pochi mesi dopo Standard&Poor declassò il rating dell’Italia, Monti ebbe un’ulteriore scusa nell’imporre con urgenza misure economice draconiane made in troika, e la banca Morgan Stanley (grazie ad una clausola contrattuale) ci guadagnò istantaneamente più di 3 miliardi di euro. Delle nostre tasse. Peccato che i proprietari di Standard&Poor siano in pratica gli stessi proprietari di Morgan Stanley. In poche parole, una mossa che fece tutti contenti: chi voleva accelerare la corsa all’Europa (la troika) e chi è in business per soldi (Blackrock e Capital Investors).
In questi giorni a Trani si celebra il processo contro Standard&Poor‘s per questo comportamento scorretto. In aula sono chiamati a testimoniare molti dei personaggi chiave della svendita dell’Italia avvenuta negli ultimi anni. Ma i giornali si occupano poco di questa faccenda. In special modo non si parla delle dichiarazioni di Prodi sul banco dei testimoni. Interessante anche che il caro Mario Monti sia troppo impegnato per andare a testimoniare, che Napolitano non ci vada perchè, poverino, lui non c’entra niente, che Draghi non si presenti perchè teme clamori mediatici. Questo è un processo importantissimo a livello mondiale: una parte fondamentale del sistema economico mondialista viene messo sotto processo, e la notizia ha un millesimo della pubblicità delle olgettine, o della forfora di un calciatore. Un chiaro indizio che difficilmente questo sistema verrà scardinato in un’aula di tribunale.
Ecco un resoconto della vicenda di Claudio Messora
“Fate la prova. Non fidatevi di me. Cercate “Prodi Trani” sui motori di ricerca. Cercate su Repubblica e Corriere. Provate a vedere se vi raccontano per filo e per segno quello che ha detto Prodi giovedì 19 novembre (quattro giorni fa) a Trani, chiamato a deporre dal PM Michele Uggiero nel corso del processo a Standard & Poor’s.
Per carità, che Romano si sia molto arrabbiato perché aveva appuntamento davanti al giudice alle 11.15 ma ha dovuto aspettare fino alle 15.30 (porello), questo ve lo raccontano tutti. Che all’altro testimone, Giuseppe Vegas, presidente della Consob, hanno rubato la macchina mentre deponeva, è una notizia che troverete con facilità. Ma provate a capire cos’abbia detto Prodi non ai giornalisti, dopo e prima, ma sul banco dei testimoni.
Eppure, nei 15 minuti durante i quali ha parlato, rispondendo alle domande dell’accusa e della difesa, di cose deve averne dette un bel po’, non certo quelle due o tre righe riportate dalla stampa. E considerato che lo scherzetto del downgrade sul rating di Standard & Poor’s ci potrebbe essere costato ben 3.1 miliardi di euro, direi che la deposizione di Romano Prodi, così come tutte le altre, da Maria Cannata (direttore del dipartimento debito pubblico del Ministero del Tesoro) a Giulio Tremonti, ex ministro delle finanze, da Vegas della Consob a Elio Lannutti, da Mario Draghi (che, pur citato, non è venuto perché “teme clamori mediatici”), passando per Pier Carlo Padovan (che dovrebbe essere sentito a breve) fino ad arrivare a lui, Mario Monti, che “non poteva” e dunque ha rimandato la sua udienza al prossimo 27 gennaio, era uno di quei processi a cui la stampa avrebbe dovuto stare incollata come se non ci fosse un domani. Con tutto il rispetto per il giallo di Avetrana, per il processo sulle escort di Berlusconi, sugli scontrini di Marino e così via, si intende. Invece niente. C’erano quattro gatti a pedali. E pure omertosi!
Di cosa si tratta, ve l’ho spiegato nel post “Dovrebbe essere su tutte le prime pagine dei giornali. E invece è solo qui”. Riassumendo, l’accusa riguarda cinque tra analisti e manager dell’agenzia, accusati di aver fornito – tra maggio 2011 e gennaio 2012 – quattro report contenenti informazioni distorte sull’affidabilità creditizia italiana che portarono al declassamento di due gradini del rating, da A a BBB+. In base a quel declassamento, secondo la clausola di terminazione anticipata (early termination), Monti pagò a Morgan Stanley 3,1 miliardi di euro sull’unghia (si credeva fossero “solo” due miliardi e mezzo, ma proprio giovedì scorso Maria Cannata ha corretto il dato). Peccato che Standard & Poor’s sia controllata da Mc Graw Hill. Poi vengono le partecipazioni di Blackrock e Capital Investors. E Morgan Stanley era a sua volta partecipata dalle ultime due. Sarebbe stato semplice per Morgan Stanley influenzare Standard & Poor’s e poi passare all’incasso da Mario Monti. Secondo la procura di Trani, il pagamento rappresenta “un forte elemento indiziario” a carico di Standard & Poor’s, che nel 2011 decise “illegittimamente e dolosamente” il declassamento “al solo fine di danneggiare l’Italia”.
«Chi opera il giudizio di rating non deve avere interessi confliggenti, ciò è previsto dal regolamento Esma (la cosiddetta Consob europea, ndr)» ha detto al processo Giuseppe Vegas, presidente Consob, aggiungendo che «La mancanza di coerenza delle metodologie sul rating italiano da parte di S&P fu segnalata all’Esma dalla Consob, perché si riteneva che vi fosse una possibile violazione del regolamento europeo». Ma l’Esma archiviò tutto.
Sta di fatto che, nonostante i progressi lacime e sangue dell’Italia, parlare con Standard & Poor’s era molto complicato. «C’era un’ipercriticità da parte di S&P verso l’Italia», ha commentato Maria Cannata. «Con S&P è come parlare al vento. A me è sembrato che quando noi rappresentavamo i progressi, loro li tenevano in pochissima considerazione». «Ma S&P aveva pregiudizio?», ha chiesto allora Michele Uggiero. E la risposta è stata chiara: «Se un soggetto è ipercritico – ha detto Cannata – vuol dire che non c’è serenità nel giudizio. Per me questo è un pregiudizio». E ha aggiunto: «Ritengo inappropriato che soggetti privati possano avere un così importante compito di valutazione». «Il declassamento di due notch (gradini, ndr) del rating dell’Italia da parte di Standard & Poor’s – ha concluso – non ci stava. E’ stato poco coerente nel merito da parte di S&P aver detto nel Credit Watch che il declassamento poteva arrivare fino a due gradini e poi, nonostante le manovre messe in atto dal governo, è stato confermato il declassamento che, secondo me, poteva essere giustificato con un solo notch».
Poi è stato il turno di Prodi. Sulla cui deposizione, ahimé, si sa molto poco, se non che abbia detto: «I giudizi delle agenzie sono certamente delle opinioni, ma hanno evidentemente delle conseguenze, come sostengo da tanto tempo» e «C’è sempre il rischio di conflitto di interessi per le società di rating». «Quello che mi preoccupava e che mi preoccupa è la debolezza del nostro sistema di fronte a questo giudizio, che deve essere inserito in un più robusto quadro normativo perché ha delle conseguenze sulla vita di un Paese». «Ci sarebbe voluta – ha spiegato – una struttura sovranazionale, tipo Fondo monetario, che disciplinasse questo giudizio che si dà sulle imprese o sugli Stati, perché ha conseguenze molto forti, quindi era bene elevare il livello del giudizio. Oppure, se questo è molto difficile, avere anche società europee di rating per articolare meglio la dialettica in questo campo». Un po’ poco per una deposizione di un quarto d’ora secco. Dobbiamo aspettare il deposito degli atti processuali per sapere tutto quello che ha detto l’ex presidente della Commissione Europea, nonché ex presidente del Consiglio italiano?
Nel corso del dibattito, il giudice, Giulia Pavese, ha respinto molte domande perché a suo dire formulate in maniera “suggestiva”. Il Pm ha replicato allora «Non è che le domande scomode non le dobbiamo ammettere. Presidente allora le formuli lei le domande in modo non suggestivo».
Prossimo giro: Pier Carlo Padoan, Maria Pierdicchi, ex responsabile Standard & Poor’s per il sud Europa, e Marco Galluzzo, giornalista Corriere della Sera che all’epoca dei fatti seguiva le posizioni di Monti sulle agenzie di rating. Tutti e tre il 10 dicembre. Mario Monti invece – ripetiamo – ha detto che “non poteva”, e dunque la sua deposizione è rinviata al 27 gennaio. Nella speranza che ad ascoltare quello che dice ci siano un po’ più di quattro gatti.” (fonte)