I RACCONTI E LA FELICITÀ
In poche righe, il nostro Claudio Tomaello spiega come già gli antichi si fossero accorti del nesso tra felicità e racconto. Tanto da codificarlo nella parola stessa che significava “racconto”…
di Claudio Tomaello
Ho passato molti anni a cercare di essere felice, dando per scontato di sapere cosa fosse la felicità e che essa fosse l’obiettivo della mia vita. Non avevo ancora incontrato due storie che mi hanno aiutato a cambiare prospettiva: la prima me la raccontò un libro, la seconda un gattone.
Il rapporto tra uomini e libri è in genere chiaro e inequivocabile: sei tu che leggi loro. Con alcuni, però, questa relazione si inverte, come ebbi modo di scoprire qualche anno fa in una libreria. Quel pomeriggio, di fronte a uno scaffale inzuppato di volumi, la mia mano ne scelse uno, le mie gambe lo portarono a casa e i miei occhi iniziarono a guardarlo.
Quel libro mi mostrò la potenza dei racconti.
Lo fece illustrandomi che in ebraico biblico il termine “felicità” si scrive e si pronuncia gad. Se a questo vocabolo si antepone la lettera he, la parola diventa haggad che significa “la felicità”. Se si aggiunge un’altra he alla fine della parola, essa diventa haggadah, ovvero “racconto, storia”.
Alla lettera he la cabala associa il numero 5, che è il numero delle dita di una mano. Quindi le due he che racchiudono la parola “felicità” sono due mani e ogni grande “racconto” ci mostra questo: che la felicità è nelle nostre mani.
Fu per me una rivelazione meravigliosa, che mi nutrì per molto tempo.
Ogni traguardo, però, è anche un nuovo punto di partenza, così pian piano si fece strada dentro di me una nuova domanda: cosa dovevo fare per raggiungere la felicità?
Una mattina, mentre spazzavo il cortile di casa, vidi un gattino intento a rincorrere la sua coda. Girava come una trottola, senza fermarsi mai. Ad un certo punto passò di lì un gattone che, incuriosito, si avvicinò al gattino, domandandogli: “Come mai corri dietro alla tua coda in questo modo?”.
Il gattino gli rispose: “Ho sentito dire che la cosa migliore per un gatto è la felicità e che la felicità è la mia coda. Ecco perché la rincorro e, quando l’avrò afferrata, sarò felice”.
Allora il gattone meditò per qualche secondo e replicò: “Figliolo, anch’io ho considerato i problemi universali e sono giunto alla conclusione che la felicità è nella mia coda, ma ho notato che ogni volta che mi metto a rincorrerla essa mi sfugge, mentre quando percorro la mia strada essa mi segue”.
Il gattino restò immobile, stupito, e anch’io rimasi fermo per un po’ con la scopa in mano.
Il gattone ci salutò e proseguì per la sua strada, con la felicità che lo seguiva appresso.
Può interessarti anche: