HO CAMMINATO SULLE ACQUE STAMATTINA
Redazione
Vero. Non è facilissimo per chi, come me, non fosse un essere divino e nemmeno un supereroe della Marvel. Ma è interessante cosa se ne può imparare.
La storia è questa. Domenica mattina di Luglio come Dio comanda. Sole, mare e un amico che mi presta un SUP. Cosa è un SUP? Un attrezzo col quale si può dire che in effetti stai camminando sull’acqua. Significa Stand Up Paddle ed è una tavola che galleggia, un po’ più grande di una tavola da surf. Puoi salirci sopra in piedi (stand up) e con una pagaia (paddle) ‘camminare’ sull’acqua. Ci ho messo circa una decina di ore in altrettanti giorni a imparare. Se fosse stato più facile non sarei stato così soddisfatto. Forse mi sarei annoiato subito, in effetti si può camminare sull’acqua subito e facilmente con un gommone a motore… Ma non è la stessa cosa.
Ma ecco cosa ho imparato stamattina.
di Stefano Rofena
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“Il corpo sa”. Dato che avevo appreso a stare in piedi sul SUP ormai un’estate fa, temevo di non ‘ricordare’ come si facesse. Un amico che mi ha accompagnato nell’impresa mi ha rassicurato: è come andare in bicicletta. In effetti sono ripartito con la stessa abilità che avevo appreso l’anno scorso.
Insegnamento numero 1: il corpo sembra avere un modo di imparare più profondo e durevole della mente. La mia mente non lo ricorda già più ma il mio corpo sì. Mi sono rimesso in piedi sulla tavola al primo tentativo. Imparare attraverso la corporeità, il movimento, l’esperienza, ha un valore che spesso tendo a sottovalutare rispetto all’apprendimento intellettuale. Il mio corpo è la cosa materiale più prossima al mio “io”. Non l’ho fatto io e neanche i miei genitori. Usando il linguaggio tecnocratico corrente si potrebbe dire che è il frutto di una tecnologia biologica avanzatissima della quale comprendiamo appena i primi rudimenti. Saper interrogare il corpo è quindi come rivolgersi a un mediatore delle entità superiori che lo hanno creato e me lo hanno reso disponibile. Me lo voglio ricordare! Grazie saggio SUP! -
“Guarda avanti e lontano” Sempre questo amico mi ha ricordato che se avessi resistito alla tentazione di controllare i miei piedi con lo sguardo avrei avuto maggiore equilibrio guardando avanti. Incredibile ma funziona! Mi è suonato subito come un monito sulla mia paura di perdere il controllo: le mie gambe tremavano da pazzi se le guardavo cercando cogli occhi chissà quale riferimento per tenermi in equilibrio là dove intorno non c’era nulla a cui aggrapparmi e sotto solo acqua. La quale faceva il suo mestiere di acqua di mare: agitata, irrequieta al contatto con la brezza; scivolosa come un fluido sa essere; percorsa da correnti e onde di un’energia misteriosa che proviene dal moto planetario; e questo dal moto cosmico; e questo dall’impulso divino. Ero in piedi su questa roba. Fico! Incredibile: se guardavo avanti e lontano le mie gambe si tranquillizzavano e io restavo in piedi più stabilmente e con meno sforzo. Le gambe sembravano dirmi: “noi sappiamo cosa fare, tu pensa a dove vuoi andare”.
Insegnamento numero 2: guardare “lontano” rende il qui e ora meno insicuro. Ancora un suggerimento saggio: curarsi della “direzione” (dove voglio andare? Perché? Come mi cambierà il viaggio? Chi sarò, arrivato laggiù? Ecc.). Ma davanti… dove? Verso la riva c’erano bagnanti intenti a sollazzarsi per i fatti loro; dall’altro lato, ancora più lontano, c’era l’orizzonte piatto e indifferenziato. Che vuol dire? Come potrei guardare ancora più lontano, oltre l’orizzonte ottico?
Mentre ero in quella instabile situazione, tra acqua e cielo, nella luce e nel calore, assurdo come un grosso punto esclamativo su una riga non scritta del mondo… mi viene un messaggio dal SUP: l’orizzonte è la morte, la mia. È il limite entro il quale vedo direzioni interessanti per me. Ma alcune cose non hanno senso neanche entro questo limite. Se vedessi più lontano, nelle mie vite passate e verso quelle future, molte onde dell’anima smetterebbero di rendermi così instabile.
Me lo voglio ricordare! Grazie saggio SUP! -
“Le asperità si possono compensare” Considerando il grado di instabilità notevole che stavo sopportando (come un quadro attaccato con un chiodo sotto la cornice anziché sopra), ritenevo che le increspature dell’acqua e le onde fossero sollecitazioni pressoché insostenibili. Ma se mantenevo una concentrazione rilassata riuscivo a compensare le forze squilibranti con micro-movimenti del corpo. Nei momenti di relativo relax sulla tavola, ho pensato: che importante attività quotidiana facciamo per compensare tutti quegli eventi avversi che potrebbero rovesciare una psiche non in grado di auto-stabilizzarsi. Anche piccole contrarietà, come increspature sulla superficie, come una folata di traverso, ripetendosi giorno dopo giorno possono renderci nervosi o irascibili e a lungo andare intolleranti (e insopportabili). Ma non sono le uniche forze in gioco. Noi possiamo mettere in moto contro-forze equilibranti e armonizzanti. Proprio con l’allenamento quotidiano diventano automatiche e ci liberano dal portarvi un’attenzione snervante.
Insegnamento numero 3: Posso essere io un fattore di equilibrio e di armonia. Posso considerare le avversità un allenamento che mi rende sempre più efficiente.
Me lo voglio ricordare! Grazie saggio SUP! -
“Cadere ha anche lati positivi” Inevitabilmente sono caduto varie volte.
Inevitabilmente? Che noia questi avverbi che allungano le parole e segnano quasi sempre dei pregiudizi. Cerco di evitarli quando scrivo. Questo poi, è proprio uno di quelli. Chi l’ha detto che non si può evitare di cadere? Conosco persone che vanno sul SUP salendo a riva e tornando a riva senza neanche bagnarsi. Per favore Signori della Corte, vogliate non tener conto del primo avverbio.
Sta di fatto che sono caduto in acqua. Succede qualora la tavola vuole andare da qualche parte mentre il mio sedere vuole restare dov’è. Rammento le lezioni di fisica: il baricentro della massa composta dal mio corpo e dalla tavola tende a restare nella posizione e nello stato di moto che ha. Pressappoco questo baricentro si trova al centro del mio bacino. Quindi se sposto le mie spalle indietro, la tavola sotto i miei piedi scivolerà in avanti sull’acqua, con la quale ha molto meno attrito che con i miei piedi. Questo baricentro, non trovandosi più sulla linea verticale dove il peso si scarica attraverso le gambe sulla tavola che galleggia, non ha più modo di sottrarsi alla grande attrazione gravitazionale. Potevo anche scrivere semplicemente che il mio sedere cade giù. Un po’ come cadere da cavallo con il vantaggio che sotto hai l’acqua. Nonostante questo vantaggio non da poco temevo che cadendo nell’acqua bassa avrei potuto battere sul fondo. E potevo. Ma ancora attingendo a memorie “corporee” mi sono lasciato scivolare in orizzontale appena entrato in acqua e sono scivolato sfiorando il fondo in sicurezza. Mi sono rinfrescato; mi sono riposato nell’acqua che sosteneva tutto il mio (rilevante) peso corporeo e poi sono risalito.
Insegnamento numero 4: posso trarre beneficio anche da una “caduta”. Possono esserci aspetti positivi quando la vita va in un verso e io da quello opposto? Posso prendermi un momento di pausa? Posso usare il tempo in cui “sono giù” per valutare aspetti che quando “sono su” non avrei considerato? Posso rimettermi in piedi e ripartire stando anche meglio?
Me lo voglio ricordare! Grazie saggio SUP! -
“La connessione superiore col primo chakra” Ormai questa mattinata sul SUP stava assumendo aspetti misticheggianti. E allora ci ho preso gusto e ho insistito. Cos’altro stavo imparando? Che il punto del mio corpo che era importante restasse in quiete mentre tutto il resto si dimenava per combattere le forze squilibranti era situato al centro del bacino. Non è dove si dice sia il primo chakra? Mi sembra di sì. Allora sarebbe un’altra conferma che la base di tutto sta in connessione con ciò che è sopra a tutto. Ricerco spesso un “punto di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente” (cfr: F. Battiato) in una connessione con uno spirito superiore il quale – come tale – lo immagino in alto.
Insegnamento numero 5: cercare quella connessione anche in basso. Nel mio corpo; in Madre Terra che non a caso mi dona quella sensazione di stabilità senza la quale “mi mancherebbe la terra sotto i piedi”.
Me lo voglio ricordare! Grazie saggio SUP!
Opportunamente, onestamente e in questo senso: inevitabilmente, ho dovuto riportare il SUP all’amico che me lo aveva prestato. La vendetta degli avverbi negletti! Non mi resta che ringraziarlo. Per motivi che non immagina, ma che gli racconterò stasera, suonando la chitarra e guardando in fondo al viale verso il mare, con lui, sotto il patio del suo Club dove bambini e adulti imparano ad andare sugli skateboard, sui surf e sui SUP. Forse non lo pensano, ma stanno imparando anche a stare in equilibrio nella vita.
Grazie Mauro!