Debito pubblico e debito karmico
Redazione
Stefano Rofena sull’utilità delle attività lavorative. In economia si dovrebbe cominciare a tenere conto del fatto che un lavoro dovrebbe avere come scopo principale, lo sviluppo della coscienza…
L’altro giorno sono rimasto colpito dall’articolo di Paul Krugman apparso su questo sito. Secondo Krugman, molti politici ispirano la loro strategia economica secondo la metafora che “una famiglia con troppi debiti deve stringere la cinghia”.Ma se tutti decidiamo di spendere meno per pagare il debito – sostiene Krugman – è vero che risparmiando ci resteranno più soldi in tasca ma d’altro canto avremo anche meno ricavi perché anche gli altri fanno la stessa cosa limitando gli acquisti e tra gli altri ci saranno pure i nostri clienti o datori di lavoro.
Quindi se ho meno costi ma meno ricavi, il bilancio è come prima ma il “movimento” dell’economia rallenta; cioé gira meno denaro e inizia un circolo vizioso: spendo meno ma poi mi accorgo che ricavo meno, allora spendo meno ancora sperando che altri si decidano a cominciare a spendere prima di me… ma che succede se invece ricaverò ancora meno di prima?
Krugman dice che in questo caso il settore pubblico dovrebbe innescare l’inversione di tendenza essendo lui a cominciare a spendere di più quando il settore privato non può o non vuole più farlo. Invece molti governanti lanciano riforme di austerity – cioé tagliano le spese – deprimendo ancor più l’economia delle nazioni. Questo allo scopo – ormai neanche troppo occulto – di usare il ” panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali “.
Andando ancora più a fondo, noi di CoscienzeInRete intuiamo che la disgregazione dei programmi sociali e il conseguente impoverimento e imbarbarimento nazionale serve per poter a breve imporre senza trovare opposizione un SuperGoverno centrale che prometterà almeno un pezzo di pane in più in cambio di obbediente sudditanza.
Trovo queste considerazioni corrette, ma che non toccano il nocciolo del problema di come ripagare un debito.
Il punto fondamentale è che non si parla del valore reale di quello che si produce. Per esempio: Il Governo decide di costruire una nuova infrastruttura – diciamo una nuova tratta ferroviaria traforando delle montagne – per favorire l’economia in due modi: 1) pagando operai e forniture per realizzare l’opera e 2) realizzando una infrastruttura che faciliterà la mobilità di merci e persone.Ma che succederebbe se – solo per ipotesi – questa opera non avesse il successo sperato? Se insomma dopo qualche anno la ferrovia cadesse in disuso (o in di-Susa :-), si sarebbe ottenuto il risultato di aver travasato soldi pubblici ad alcuni cittadini (operai e addetti di aziende private) e di aver fatto un gran buco nelle montagne.
La morale è questa: Se il consumo è maggiore della capacità produttiva (e si desidera consumare sempre di più) si può contrarre un debito. Questo si ripaga solo con una nuova produzione di valore. Sarebbe stupido pensare di sanare il debito producendo cose inutili; anche le cose inutili si pagano e così facendo il denaro “gira”, ma gira a vuoto perché poi, quando l’utilità di un prodotto finisce, finisce anche il suo reale contributo al consumo. Il consumo invece si può temporaneamente ridurre un po’ ma non si ferma mai.Una nota barzelletta dice: “Proprio quando il mio asino aveva imparato a non mangiare, è morto!”.
Il vero valore di un prodotto o di un servizio (l’acqua che disseta) non risiede nel potere taumaturgico del suo “nome”. Un politico invoca: “bisogna fare più infrastrutture” ma poi se saranno infrastrutture inutili? Un altro politico proclama: “bisogna dare sussidi ai poveri e ai disoccupati” ma poi se queste persone, dopo aver consumato i sussidi, resteranno improduttive il problema si ripresenta; qualcun altro dovrà produrre anche per loro. Un terzo politico supplica (lacrimando): “dobbiamo risparmiare e fare sacrifici” perché vede che la parte del Paese che produce non ce la fa a equilibrare i consumi e spera di darle un momento di respiro.
Ho fatto alcuni esempi dei mille rimedi possibili, tutti giustificati a patto che non ci si fermi al “nome” ma ci si impegni per l’effettivo raggiungimento del valore che il rimedio indica come traguardo.
Alcune persone inoltre sottolineano la inutilità delle normali politiche economiche poiché oggi si è creato uno strapotere della speculazione finanziaria in grado di soverchiare a vantaggio di pochi le migliori iniziative. Altri dicono che questi finanzieri sono anche collegati o collusi a gruppi di potere politico in grado di deviare le scelte strategiche facendo leva sul sostegno di masse ignoranti inebetite ad arte. Ne risulta una depressione morale ed economica micidiale.
Cosa possiamo fare?
1) quando lavoriamo (se siamo fortunati di non essere disoccupati) sforziamoci di capire se realmente stiamo producendo valore oppure se stiamo girando la ruota del criceto. Una mia cara amica impiegata di livello nella Pubblica Amministrazione si è resa conto che il suo lavoro si è introvertito al punto che la impegna per sostenere i costi del “palazzo” anziché per fornire un servizio al Pubblico. In questi casi suggerisco di fare come lei: sta cercando il modo di cambiarlo o di abbandonarlo.
2) facciamo attenzione se produciamo cose o servizi inutili o amorali: giocattoli diseducativi, video-giochi di guerra, servizi finanziari speculativi, prodotti para-farmaceutici di dubbia efficacia, riviste e giornalismo di basso profilo. Pubblicità ingannevole o fuorviante eccetera. Niente di così tragico all’apparenza. Non si tratta di produrre armi o droga o prostituzione. Ma anche se il conto economico di queste attività produce un attivo, si crea un debito morale, un debito di valore che un giorno chiederà di essere pagato.
3) spendiamo il più possibile in formazione e cultura personale e per chi ci circonda. L’accrescersi del livello culturale e artistico di un popolo è il presupposto per l’unica vera crescita sostenibile: quella verso la spiritualità; un campo dove si può crescere all’infinito non solo senza danni ma con impatto positivo. In un altra occasione spero faremo anche riflessioni su cosa è da intendersi per “arte e cultura” in senso positivo e non fittizio…
4) prendiamo il “vizio” di pensare sempre fino in fondo: cosa succederebbe se io mangiassi sempre così? Cosa se tutti volessero avere un’auto nuova o viaggiare in aereo? Cosa se compro quell’oggetto invece di quell’altro? Cosa se faccio finta di niente in certi casi? Cosa se indulgo in certi pensieri? Le prime volte, e forse per molto tempo, saremo un fastidio intimo per noi stessi. Non bastano le seccature e i problemi che mi arrivano? Ma… fosse che quei problemi sono un mio debito (karmico)?