Cosa trasforma un’opera in un’opera d’arte?
Paola Lo Sciuto
Cosa rende un’opera, un’opera d’arte?
Già, bella domanda!
Prendiamo spunto da un articolo apparso su Wired di Massimiliano Zane all’inizio di febbraio 2016.
L’articolo commenta una vicenda imbarazzante e interessante allo stesso tempo.
Le statue dei Musei Capitolini vengono coperte in occasione della visita a Roma del presidente iraniano Hassan Rouhani. La stampa nazionale e internazionale si scatena e con il passare dei giorni il dibattito si sposta su questioni estetiche e artistico – filosofiche.
La cosa interessante è che un’amante dell’arte contemporanea, Alda Fendi, trova “eccezionale” questo gesto e vuole comprare le casse che hanno coperto le statue perchè per lei sono come una magnifica istallazione, un’opera d’arte.
La famosa stilista e collezionista Alda Fendi, nel 2001 apre una fondazione con il suo nome, “dedicata a produrre esperimenti artistici in assoluta libertà creativa e molteplicità di linguaggi”.
Il curatore Raffaele Curi dichiara di voler inserire le casse all’interno di un progetto artistico chiamato “Farsi” .
L’articolo continua citando Charles Batteux che nel 1746 nel trattato “Le belle arti ricondotte a un unico principio”, asserisce che “La causa delle arti è nella piacevolezza; il loro principio comune nell’imitazione della natura”.
Ma a partire dalla fine dell’800 l’artista ha l’esigenza di raccontare non più l’esterno, imitando la natura, ha urgenza invece di esprimere nell’opera la propria natura intima, paradossale e controversa.
Da quel momento abbiamo visto come l’arte sia stata uno specchio della società e dei suoi cambiamenti. L’uomo ha imparato a rapportarsi con la macchina, l’ha inneggiata portando dentro di sè l’intima angoscia di venirne soffocato.
Poi qualcuno ha pensato bene di portare nell’arte una serie di distruzioni e allontanamenti per tagliare i ponti con il passato. Marinetti ne è stato un formidabile maestro. La lunga serie dei manifesti futuristi ci illustra chiaramente le sue intenzioni filosofiche e formali sulla distruzione e “la guerra come igiene del mondo”. Marinetti intendeva “fare guerra” soprattutto alla bellezza, e all’armonia, come atto supremo di libertà e di autoaffermazione egoica. Segue Duchamp, che uccide il valore dell’opera e il senso dell’opera, introducendo il concetto di gioco, come atto liberatorio dell’uomo relativo alle forme della natura che coicidono con il proprio intimo significato. Da lì in poi “Tutto è opera d’arte”. Cioè più nulla.
Bene, ne avevamo bisogno. Avevamo la necessità di sperimentare il nulla, l’allontanamento dalla nostra natura e da uno dei nostri nutrimenti fondamentali: L’opera d’arte.
In che senso?
Facciamo una premessa.
Il cibo che ingoio è nutrimento per il mio corpo? Si. Mi fa bene se è un cibo buono e mi fa male se non è buono. Allora per stare bene ho bisogno di sapere cosa sto introducendo nel mio corpo. Vedo l’etichetta, capisco, mi informo, cerco di mangiare sano e biologico: cibo non avvelenato da pesticidi.
Ciò che sento e ciò che vedo che cibo è? È il cibo per la mia anima/ psiche. Ne ho bisogno? Si.
Questo cibo fatto di forme colori e archetipi mi influenza, mi fa pensare, mi fa bene, mi fa crescere. Allora una volta capito che c’è un cibo per l’anima, oltre che per il corpo, devo imparare a distinguere il cibo che mi fa bene da quello che mi fa male.
Questo è proprio un lavoro, perché, come dice Fausto Carotenuto: “è molto difficile realizzare che quella “nutella” così buona o quelle merendine ben confezionate possano in realtà farci male, ed è altrettanto difficile realizzarlo di tutte le opere che ci vengono ben confezionate dalle mille parole del critico, e che spesso ci mandiamo giù passivamente perché magari ci sentiamo ignoranti”.
Per capire quanto sia importante che il cibo per l’anima sia sano, bisogna sapere come è fatta un’opera d’arte.
La parola in sè (arte) vuol dire far bene qualcosa, ma si riferisce “all’arte” di alcuni, pochissimi uomini straordinari che riescono nell’arduo intento di: “Legare con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna”. (Tutto ciò è facilmente riscontrabile, quando sei di fronte ad alcune opere d’arte autentiche che ti lasciano pieno di stupore, mentre le miriadi di oggetti denominati “opere d’arte”, sono i “frammenti squadernati” di un mondo, ovvero la sua speculazione intellettuale, caratteristica della quasi totalità dell’arte contemporanea).
Dante esprime esattamente cosa può essere un’opera d’arte in tutta la sua complessità:l’opera d’arte racchiude un universo, in cui l’anima dell’artista ha superato la propria biografia, e concretizza forme ancestrali per metterle a disposizione dell’umanità. L’opera diventa cibo psichico, nutrimento dell’anima.
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna.
(Par. XXXIII, 85-87)
In sostanza è questo quello che insegna Fausto Carotenuto nelle sue lezioni sull’arte e la spiritualità:” Ciò che riesce a nutrire la nostra anima, a “parlare con la nostra psiche, sono le forme e i colori, gli archetipi “gelificati” nell’opera”.
Il discorso è molto lungo e vale la pena approfondirlo, magari un po’ alla volta, in più articoli.
L’universo che sta all’interno di un’opera d’arte autentica ha bisogno di un artista che sia consapevole del proprio ruolo, desideroso di sviluppare dentro di sè una “limpidezza” tale da superare la propria biografia.
Adesso che sappiamo cosa è un’opera d’arte e a cosa serve, ci rendiamo conto che pochissime sono le opere d’arte che possiamo riconoscere come tali.
Ma possiamo essere certi che la stragrande maggioranza delle opere che ci propinano come “opere d’arte”, sono solo l’esempio di quanto siano distanti da quelle autentiche: “sono come le merendine confezionate per noi, finto cibo per l’anima”( F. Carotenuto).
Siamo così allontanati dalle cose autentiche come la bellezza e l’armonia, che a stento riusciamo a distinguerle, camuffate dalle varie estetiche e da attrazioni per le varie soggettività.
Dagli insegnamenti, legati alla reale lettura dell’opera d’arte come nutrimento spirituale della psiche, deduciamo che se ci nutriamo soprattutto di quello che abbiamo scelto come buon cibo “soggettivo” (le merendine), dopo un po’ ci accorgeremo dei danni al nostro fisico. Il cibo per la psiche funziona allo stesso modo: quello che scegliamo come “mi piace tantissimo”, a lungo andare ci può deprimere, rattristare, toglierci forza vitale, perché cibo privo di nutrimento autentico.
Altra cosa di cui possiamo star sicuri è che il corpo e la nostra anima non mentono. “Se li ascoltiamo nel profondo, nella loro verità, potremmo imparare a riconoscere ciò che ci fa bene o male, e smettere di essere schiavi di un piacere fittizio, del corpo come quello dell’anima-psiche”( F.Carotenuto).
Così come l’uso dei pesticidi ci ha avvelenato perché sviluppassimo le forze della coscienza amorevole e cominciassimo a crescere e ad occuparci meglio di noi stessi e della terra, allo stesso modo è stato fatto con il cibo dell’anima, l’arte.
L’arte è stata distrutta con la complicità di artisti probabilmente inconsapevoli, per far risuonare altre parti di noi, sperimentare le malattie e le deviazioni psichiche.
Credo che in questo momento molta gente, così come a cominciato da tempo a magiare sano, sia stanca di “farsi avvelenare anche la psiche”, e preferisce nutrire meglio la propria interiorità.
Fare esercizio di distinzione è aumentare le difese immunitarie della psiche. Distinguere le opere d’arte autentiche come cibo sano, e quelle finte come arma di “distrazione di massa”. Questo priverà l’oggetto con cui siamo entrati in contatto del loro “potenziale dannoso”.