AKRAM KHAN E ISRAEL GALVÁN – TOROBAKA: Il dono dell’arte nel movimento di due grandi interpreti-coreografi
Paola Lo Sciuto
Quando gli artisti sono grandi e le loro opere trasudano spiritualità, allora ti si apre letteralmente il cuore, ti viene voglia di saltare di gioia, e andare a ringraziare quell’artista che con tutta la sua generosità ti ha fatto vivere momenti di pura esaltazione! L’opera d’arte quando trasmette più dell’emozione, sembra essere vivente, comincia a vibrare in modo autonomo attivando una risonanza in chi la guarda e l’eccitazione aumenta in modo esponenziale. Una straordinaria energia fluisce e si propaga.
L’opera TOROBAKA, andata in scena nella capitale come spettacolo di apertura del rinomato RomaEuropa festival, mostra le sinergie di due coreografi danzatori a dir poco straordinari. Il lavoro di Akram Khan e Israel Galvàn, è stato davvero esilarante. Gli artisti hanno ricevuto quindici minuti ininterrotti di applausi fragorosi tra le urla e la gente in piedi che non voleva più andar via dal teatro.
Conosciamo Akram Khan, anglo indiano come un grandissimo artista coreografo, i cui spettacoli sono sempre una sorpresa, ma restare letteralmente a bocca aperta per un’ora e mezza nel vedere come “l’uomo con la sua creazione artistica può restituire la bellezza a Dio” è stato veramente un dono inaspettato, ti fa pensare alla vera missione dell’arte . Khan, legatissimo alle sue radici Indiane lavora da anni sull’elaborazione della tradizione millenaria della danza Kathak . In questo spettacolo, si confronta mirabilmente con le danze, le sonorità e i ritmi apparentemente lontani ma “fraterni” del flamenco sivigliano.
Israel Galvàn allievo del grande Mario Maya, e figlio d’arte, danza e suona con tutto il corpo quei ritmi che hanno strane radici in comune con quelle indiane, dovute, originariamente alle migrazioni dei gitani dall’India verso l’ovest della penisola iberica. Indescrivibile e affascinante come le due forze danzate si compenetrino. I movimenti sinuosi e tutti costruiti sulla spirale di Khan sono volti verso l’alto mostrando come il movimento danzato e come lui stesso dice della sua danza, sia un offerta alla gente e a Dio. I movimenti ruotati e le mille movenze scandite dal tamburo indiano ammorbidite dal tintinnio di cavigliere sonanti dialogano con i passi cadenzati dei tacchi del flamenco, impulsi volti verso il basso invece, verso la terra, armonie e movimenti che lavorano tutti sulle diagonali e sull’apertura del corpo in orizzontale, come a dire io uomo eccomi qui, io sono, io esisto adesso e con la mia forza.
Guardare da spettatore questi due andamenti che trasudano di storia e cultura millenarie ma rinnovati e reinventati, è guardare l’armonia vitale dell’uomo tra le due spinte fondamentali. il dialogo armonico e necessario tra la terra e il cielo. I corpi dei danzatori muovendosi “suonano” insieme ai musicisti : B.C. Manjunath, maestro di stile Mridanga, che suona le tablas nei cicli ritmici carnatici, e Bobote, percussionista abituale di Galván. I movimenti e i ritmi si mescolano ai cantanti, David Azurza, tenore, e Christine Leboutte, allieva della grande cantautrice etnomusicale Giovanna Marini. Le sonorità sono i compagni di questo straordinario viaggio che attraversa il Mediterrano, con Canti Gregoriani, corsi, sardi, siciliani e della guerra civile spagnola, insieme ai canti del Gange con la tipica sillabazione vocale, reggendo la partita come in uno stretto dialogo dei movimenti tra il bailador e quelli del fratello asiatico, specchi diversi e curiosi uno dell’altro.
TOROBAKA, richiama il poema Dadaista “Toto-vaca” dell’artista francese Tristan Tzara degli anni ’10, e le consonanze di ascendenza Maori, evocano il toro, protagonista della corrida iberica virilmente guerresca, e la vacca, pacifico animale sacro indiano.
Lo spazio rotondo e luminoso in cui i due interpreti-coreografi si mostrano e ” suonano con i loro corpi ” facendo musica con la danza, è un cerchio magico , gli artisti in quest’opera, restituiscono a pieno il senso sacro della creatività e dell’arte.