Caccia al tesoro
di Ale Hesselink, uno degli importanti artisti del nostro movimento.
L’attuale crisi economico/spirituale coinvolge ormai tutti. La speculazione senza riguardo che ci ha portato ricchezze illimitate si sta rivolgendo contro di noi, tenendo in scacco intere nazioni. La vecchia Europa è in bilico, rischiando il tracollo. Questo è il momento di far appello ai nostri talenti, le nostre abilità e ricordarci che dove si mostrano delle ombre scure esiste anche una forte luce.
Sappiamo che l’applicazione delle nostre abilità ci rende più felici e, se applicate nell’ambito giusto, aiutano anche il mondo.Ma prima vogliamo considerare un talentato più da vicino: il pittore olandese Rembrandt van Rijn (1606-1669). Lo facciamo per un motivo: nessun altro ha compreso meglio di Rembrandt il segreto che si giunga alla luce usando la tenebra. Possiamo leggere la sua biografia come la storia di un uomo che ha assaggiato fama e ricchezza ma anche debiti e rovina. Un uomo dedito alla famiglia, che poi ha perso moglie e figlio a causa di una malattia. Sentiamo quest’uomo vicino a noi. Cambiando ottica invece, possiamo leggere la stessa biografia come la storia della relazione di un talentato con il suo talento. Allora ci appare un servo fedele di un grande talento, un talento che sembra rivolgersi a noi dalla penombra dei suoi quadri, sussurrando che l’anima vive fra luce e tenebra. E’ da questa realtà che vogliamo partire per le nostre riflessioni.
Seguiamo adesso Rembrandt, entrando nella dinamica di una della sue opere: “La Ronda di Notte”(1639)“La Ronda” è un’opera concepita in grande (359 x 438 cm), e raffigura la compagnia del capitano Frans Banning Cocq e il suo tenente Willem van Ruytenburg, due dei sedici committenti del quadro. Esistevano ad Amsterdam, come in altre città della Repubblica di allora, delle compagnie, responsabili per l’ordine pubblico e la protezione dei cittadini. Per questo motivo coloro che ne facevano parte godevano di un certo prestigio. Per dare rilievo a questo, i soldati si facevano ritrarre e i quadri venivano appesi nelle sale dove si riunivano. Ritrarre una compagnia era una commissione sempre difficile. Trovare una composizione soddisfacente per ritrarre molte persone che dovevano essere ben riconoscibili, in quanto anche committenti del quadro stesso, non facilitava una soluzione creativa. I visi vengono inizialmente ritratti in fila, uno sopra l’altro; più tardi si cerca di vivificare la composizione ritraendo alcuni soggetti seduti mentre altri stanno in piedi.
Paragonando la soluzione di Rembrandt con le opere di artisti precedenti e contemporanei si dimostra il suo grande talento : l’artista rompe completamente con gli schemi, avvicinandosi al problema con una freschezza e una visione che solo i più grandi possiedono.
Egli usa in quest’opera meravigliosa tutto ciò che si era conquistato negli anni precedenti: al primo posto l’effetto di luce e tenebra, che per primo ha osato mettere in un soggetto del genere. L’artista ha accettato la conseguenza che una parte dei committenti veniva messa nell’ombra. Poi c’è il movimento: nessuno è in posa, tutti sono indaffarati, catturati nel momento, un gruppo di soldati che si sta formando. Si può quasi sentire il ronzio delle loro voci.
Rembrandt rompe con le pose abituali introducendo la diagonale nella composizione. Inoltre ha il coraggio di far prevalere la dinamica di luce e tenebre al di sopra della riconoscibilità dei singoli soggetti. Le due figure in primo piano, Banning Cocq (in tenuta chiara) e Ruytenburg, sono ben presenti ma gli altri committenti (in totale 16) lo sono molto meno. Inoltre si distingue nella composizione una bambina che appare come l’incarnazione della luce stessa….Invece di cercare il compromesso per soddisfare i suoi committenti, Rembrandt introdusse tutti, anche lo spettatore, nella dinamica del momento e nel gioco intenso fra luce e tenebra in cui tutti viviamo, sottomettendoci ad una legge più alta.
Evidentemente non tutti i committenti apprezzarono la Ronda nello stesso modo. Ci volle tempo prima che questa idea innovativa venisse assorbita dalla cultura circostante.
Dubito che Rembrandt fosse del tutto cosciente di ciò che faceva. Quello che ha guidato il suo pennello è stato il suo talento. Il vero talento agisce su di noi e non possiamo fare altro che obbedire. Così il talento dispone di noi, non viceversa. Il merito di Rembrandt è stato di aver seguito questa ispirazione, senza curarsi delle conseguenze.Essere talentato significa saper fare una certa cosa (molto) bene. Questo distingue colui che dispone di un certo talento da una persona che ne possiede altri.
Ognuno di noi avrà avuto a che fare con un talentato da vicino. Magari era una nostra compagna di banco a scuola. Raccoglieva i suoi “dieci” senza apparente fatica, ogni volta consegnando il proprio lavoro prima del tempo consentito, mentre noi stavamo ancora sudando per il nostro “sei”…. Già, il vero talento si dimostra spesso molto presto nella vita.
Ma allora da dove viene un talento? La ricerca scientifica cerca la risposta a questa domanda nella predisposizione genetica, che sotto l’influsso di circostanze favorevoli, si renderebbe manifesta: annaffiando il seme in modo opportuno si ottiene la fioritura, ma nel mondo degli uomini le cose non funzionano come in quello della flora. Il solo fatto di possedere un violino (predisposizione) in combinazione con una buona educazione musicale (annaffiatura) , non genera automaticamente anche un buon musicista. Per diventare un buon musicista si deve disporre, oltre alla predisposizione e dei buoni insegnanti, anche di una motivazione profonda.
Quindi non sono la disposizione, né le condizioni favorevoli la causa scatenante per lo sviluppo di un talento ma la nostra motivazione.
La motivazione per una determinata azione è a sua volta strettamente connessa con lo scopo che vogliamo raggiungere. Quindi bisogna formarsi un’idea degli scopi del talentato per comprendere meglio il nesso fra lui e il suo talento.Il violinista e il violino, lo scrittore e la sua penna, l’orologio e l’orologiaio, il talentato e la sua predisposizione genetica. Fissandosi sul violino, la penna o l’orologio si rischia di perdere di vista colui che sa suonare o creare. Considerando esclusivamente la predisposizione non troviamo nessun nesso con il talentato. Quando troviamo delle orme nella sabbia, la causa del loro apparire non può essere attribuita alla sabbia. Per scoprire la causa di quelle impronte dovremmo cercare colui che le ha lasciate.Focalizzandoci adesso sul talentato ci viene incontro un altro enigma: si nota che il talento si manifesta spesso già in giovane età . Ma ci vuole tempo per conquistarsi un’abilità, tempo che il talentato non ha ancora vissuto. Come possiamo uscire da questo dilemma?
E’ possibile che si disponga di più tempo di quello che abitualmente pensiamo di avere?
Quando cerchiamo di immaginarci questo tempo ci scontriamo con un confine apparentemente invalicabile: la nostra nascita biologica. Con le premesse che operiamo abitualmente non possiamo oltrepassare l’ ostacolo. Ma, visto che abbiamo necessariamente bisogno di tempo per imparare, l’unico modo per uscire dal dilemma è presumere che il tempo a nostra disposizione non cominci con la nascita e non finisca con la morte. Mettendoci in quest’ottica, non è più incomprensibile saper fare certe cose prima di prendere possesso del nostro strumento attuale. Se vogliamo andare oltre dobbiamo assumere che l’individuo è un’entità spirituale, indipendente da tempo e spazio. Un’attenta valutazione del singolo talento ci ha portato a quest’ipotesi di lavoro, la pratica dovrà insegnarci se è possibile sviluppare anche una rappresentazione vivente di quest’idea.
L’ipotesi che non si è di soli “carne e ossa” evoca ogni tanto delle forti reazioni. Una volta discutevo la questione con qualcuno che sosteneva con vigore che quando fosse arrivato il suo tempo per lui tutto sarebbe finito, ci sarebbe stato il nulla. Alla mia domanda su come sarebbe stato possibile, ricevevo come risposta che sarebbe stato “come spegnere la luce”.. a questo punto rispondevo che quindi sarebbe stato come trovarsi nel buio..Ogni ipotesi è legittima finché riusciamo ad immaginarci qualcosa, il “nulla” è semplicemente inimmaginabile e per questo motivo una tesi ingiustificata.
Una rappresentazione vivente invece offre quel giusto sostegno per non cadere in preda alla paura o ad un cieco credere. Una rappresentazione vivente lascia inoltre sempre spazio alla critica e al cambiamento, in modo che l’esperienza possa rimanere il nostro insegnante. Sulla base dei racconti di un viaggiatore è possibile formare una rappresentazione di terre sconosciute, dipenderà poi dalla mia esperienza quanto questa rappresentazione diventerà vivente per me. In pratica dovrò cercare io stesso queste terre. Se decidessi di non farlo, la rappresentazione non prenderebbe vita e sbiadirebbe ben presto. Quello che si deve evitare invece è di tagliarsi la strada artificialmente, dicendo che certe ipotesi non sono permesse a priori.Quindi, se riusciamo a formarci una rappresentazione vivente dell’idea che l’uomo è un essere spirituale, possiamo andare avanti.
Ciò che aiuta me ad immaginare tale idea è la nostra capacità mnemonica. Ricordare è un attività spirituale. Quando ricordo degli eventi della mia vita, svolgo un attività spirituale. Facendo questo regolarmente, qualcosa comincia a risuonare all’interno degli eventi vissuti: ho la sensazione di captare uno squarcio del mio essere più intimo. La stessa sensazione può arrivare quando leggo una biografia di un’altra persona. Allora, fra le righe mi viene incontro il vero protagonista della storia, presente in tutti gli eventi descritti. Quando era ancora un bambino, durante la sua età adulta fino all’ età avanzata quando il suo tempo comincia a finire. Lo vedo prendere sempre più forma, diventare sempre più “se stesso” man mano che la vita trascorre. E’ una sensazione affascinante: ti senti sulla traccia di un viaggiatore solitario che ti affida un capitolo della sua storia. Indirizzando la nostra attenzione in questo modo anche i talenti, e l’uso che il protagonista ne fa, cominciano ad acquisire un senso.I nostri talenti sono gli strumenti con i quali diamo forma alla nostra biografia ed è per questo motivo di grande importanza svilupparli al massimo. Là dove si tratta di una capacità straordinaria, come nel caso di Rembrandt, il talento si dimostra naturalmente molto chiaro ma anche lo scienziato geniale, l’artista o filosofo sono infine solo esempi della regola che ognuno dispone di talenti specifici.
Si può inoltre vedere che lo sviluppo dei nostri talenti non solo è importante per noi ma lo è altrettanto per il mondo, poiché solo le cose che sappiamo veramente fare hanno valore per esso. Così lo sviluppo delle nostre abilità forma una meta personale ma anche il nostro dono più prezioso al mondo.Adesso che abbiamo allargato i nostri orizzonti possiamo chiederci qual è il movente che forma la spinta per lo sviluppo di un dato talento. Cosa ci fa decidere di sviluppare questa o un’altra qualità? Quale potrebbe essere la motivazione di intraprendere una via così difficoltosa? Si può presumere che esista una correlazione fra il peso di un talento e le difficoltà che si debbano affrontare per acquisirlo. Nulla viene regalato. Coloro che presumono un Dio che distribuisca talenti non vedono questa correlazione. Non può essere neanche che decidiamo sulla base di un semplice desiderio, ci vuole probabilmente molto di più che un sogno per portare a buon fine un apprendistato cosi impegnativo. Solo una necessità interiore sufficientemente forte può darci la spinta necessaria. Dove dobbiamo cercare una tale spinta?Troviamo la risposta a questa domanda immaginandoci quelle caratteristiche che sperimentiamo come delle mancanze. Solo una carenza vissuta fino in fondo può darci la spinta al miglioramento.
Le insufficienze hanno in senso negativo lo stesso peso che i loro talenti corrispondenti. Viste in questa luce, le nostre carenze attuali sono potenzialmente i nostri talenti futuri. Per questo motivo dobbiamo includerli nella nostra ricerca. Anche i nostri talenti attuali appaiano cosi in un’altra luce: sono delle mancanze passate trasformate in capacità. Quindi diventa importante chiedersi in quali talenti le nostre mancanze attuali si possono tramutare. Anche perché una carenza di per sé non può motivare, un futuro talento invece si. Questa trasformazione richiede tempo e un impegno mirato. Aiuta poco imporsi un cambiamento radicale, meglio è chiedersi dove una relazione più consapevole con la nostra debolezza potrebbe portare. Questo processo comincia con un’ attenta osservazione della dinamica che sta alla base del nostro comportamento.
Quando per esempio abbiamo poca pazienza, bisogna individuare dove e quando perdiamo la pazienza. Cosi cominciamo a vedere che solo in certe situazioni cadiamo nella trappola, creando una nuova, più libera, relazione con la nostra mancanza. Con questo non diventeremo da oggi a domani uomini pazienti ma potremo aspettarci una crescente comprensione del valore “pazienza”. Un primo frutto importante, anche perché un valore non può essere mai spiegato, solo sperimentato. Questo, con il dolore della sua mancanza che ne deriva, formerà la giusta motivazione per un cambiamento vero. Solo chi ha sete va a cercare l’acqua.Nella stessa luce andrebbe vista la malattia.
Chi attraversa una malattia sembra vivere sulla propria pelle ciò che abbiamo detto: una mancanza che può trasformarsi in un nuovo talento. Nel mio lavoro di arte terapeuta ho assistito varie volte a cambiamenti esistenziali del genere. Le persone che hanno attraversato un percorso di malattia dispongono spesso di una conoscenza che solo la pratica può insegnare. Hanno sviluppato un’abilità che nasce si dalla sofferenza ma soprattutto dall’incontro intimo con una mancanza specifica. Nel mio paese d’origine, l’Olanda, formano ormai una categoria distinta: gli esperti d’esperienza. Vengono chiamati in causa dove c’è bisogno di esperienza pratica. Solo chi ha attraversato il mare sa dare quel conforto e quei consigli che sono necessari.Quest’ultima affermazione ci porta a considerare ancora una volta l’altra parte della medaglia, il lato sociale del nostro talento. Non è possibile sviluppare un talento da solo. Ci sono stati altri a procurarci lo spazio e le occasioni necessarie per il nostro progresso. Esiste una miriade di persone che hanno facilitato il nostro apprendimento.
Quindi, il mondo ha bisogno dei nostri talenti ma ha un certo diritto, poiché anche il mondo ha messo il suo impegno!Una volta creatasi un’immagine dei nostri talenti, attuali e futuri, una serie di domande pratiche si presentano. Come è la nostra situazione lavorativa? In che misura è consona ai nostri talenti? C’è spazio per il loro sviluppo? Riusciamo a liberare tempo sufficiente per approfondire la questione? La situazione perfetta non esiste ma, vista la posta in gioco, la bilancia dovrebbe pendere dalla parte giusta.Una volta fatta questa valutazione si potrebbe cercare altri che lavorano con le stesse domande e formare un gruppo d’approfondimento. Abbiamo bisogno di uno specchio ma soprattutto di quella sinergia che nasce fra coloro che si orientano nella stessa direzione. Questa energia sinergica solleva, per così dire, ogni singolo al di sopra di se stesso, in modo che ognuno riesca a trovare più velocemente e con più sicurezza interiore le proprie risposte.Noi lavoriamo con dei mezzi artistici.
L’Arte ha la forza di riportarci a noi stessi. L’attività artistica ci mette in ascolto, dando voce al nostro mondo interiore. Alternare l’attività creativa con un’ attenta osservazione dei risultati, crea una rappresentazione vivente dei nostri talenti.
Ale Hesselink nasce ad Ameland (Paesi Bassi). A 21 anni incontra L’Antroposofia di Rudolf Steiner, che diverrà la sua fonte d’ispirazione lavorativa. Dopo aver studiato arte terapia e architettura, collabora, per un periodo complessivo di 12 anni, alla realizzazione di un programma per il ricupero di ex tossicodipendenti, occupandosi soprattutto della parte artistico – pedagogica. A 38 anni si trasferisce in Italia dove contribuisce con i suoi workshop a diffondere la Terapia Artistica. Cell:+39 334 9394858Email: hesselink.ale@gmail.com