I francesi si sono accorti che col TTIP ci rimettono. I nostri dormono, o sono complici?
di Enrico Carotenuto
Le parole del Segretario di Stato al Commercio Estero francese, Matthias Fekl, sono importantissime per l’Europa. A quanto pare i francesi sono i primi ad aver realizzato che ciò che i media chiamano trattato di “libero scambio”, è in realtà un bel cappio con cui le multinazionali cercano di decorarci il collo.
Ma perchè Hollande prima e Fekl ora, se ne sono usciti così, quando sono anni che stanno zitti? E’ forse l’ora della riscossa delle coscienze europee?
Si sono svegliati l’altro giorno e gli si è accesa una lampadina in testa?
Come mai finalmente cominciano a dire ciò che è stato subito lampante a chi si è anche solo minimamente chiesto cosa è il TTIP e a che serve?
La cosa strana è che pur mettendo l’accento sulle restrizioni di mercato che gli USA manterrebbero a discapito dei paesi europei, Fekl non lascia fuori alcuna criticità dalla sua disamina del TTIP: parla anche del problema dell’assenza di regole sulla protezione ambientale e dell’inaccettabilità degli ormai notori ISDS, ovvero i tribunali privati che farebbero da arbitro nelle dispute tra stati e società private.
“Francia e Italia hanno molti interessi in comune, interessi che non vengono tenuti abbastanza in conto. – dice Fekl – Anzitutto, entrambi abbiamo a cuore le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche. Questa è una gran posta in gioco, ma gli americani non ne vogliono sapere! L’Italia ha 280 prodotti a denominazione d’origine protetta (esclusi gli alcolici). E’ il più gran numero d’Europa! E non sono protetti, negli Usa. Un rapporto di Montecitorio stima che, sui 24 miliardi di euro annui del giro d’affari di alimenti spacciati per essere italiani, solo 3 miliardi lo sono davvero. E’ un problema che anche la Francia conosce bene. Possiamo accettare che le cose non cambino? Poi c’è la questione della reciprocità: i mercati pubblici europei sono aperti al 90% e passa, quelli Usa a meno del 50%. Si tratta di una sfida chiave per le piccole e medie imprese, per le Pmi e le Eti dei nostri Paesi. Perché i negoziati procedano, gli americani dovrebbero accettare di aprire di più il loro mercato. Non c’è abbastanza coscienza, in Europa, delle restrizioni imposte ai nostri prodotti: non possiamo neppure esportare yogurt e burro, noi, negli Usa“.
Fekl prosegue poi con la questione ambientale: “Le regole del commercio internazionale devono incorporare anche i vincoli per la protezione dell’ambiente: è cruciale. Non avrebbe alcun senso aver plaudito al successo diplomatico dell’accordo sul clima di COP21 se poi, poco tempo dopo, venisse firmato un trattato che di fatto lo smantella. L’ambiente è il tema del secolo: ho proposto ufficialmente alla Commissione che, negli accordi commerciali, le disposizioni ambientali e sociali vengano ritenute altrettanto vincolanti di quelle puramente commerciali”.
Il Segretario di Stato francese prosegue e punta il dito sull’inspiegabile segretezza delle contrattazioni e sui contenuti del trattato “Alla crisi democratica europea bisogna rispondere con la trasparenza a tutti i livelli. Succede troppo spesso, oggi, che le lobby scavalchino i cittadini e persino i parlamentari nell’accesso alle informazioni. E’ inaccettabile: io sono per gli “open data” nei negoziati commerciali. Se non puoi assumerti la responsabilità di un accordo davanti al popolo europeo, allora vuol dire che non va negoziato!“
Ma chi ci hanno messo al commercio in Francia? Un anarco-insurrezionalista? 🙂
E’ tutto giustissimo, tanto da rimanere basiti, perchè occorre ricordare che sta parlando un membro del governo francese, non un portavoce di Greenpeace.
Ma quando Fekl tocca l’argomento ISDS, la metodologia che permetterebbe alle multinazionali di citare in giudizio, in tribunali privati, gli stati che fanno leggi che ledono i loro interessi, si scopre il trabocchetto: “Questo è uno dei temi su cui c’è ancora una forte divergenza con gli Stati Uniti. La Francia ha proposto di archiviare definitivamente il sistema “Isds”, che non era più accettabile proprio per le ragioni che lei ha richiamato. Con l’aiuto di numerosi Stati membri tra cui l’Italia, la proposta alternativa francese è ormai nel cuore delle richieste europee, affinché vengano instaurate vere e proprie “Corti pubbliche d’investimento” (al posto dei tribunali privati). Con l’elezione di Trudeau in Canada, questa proposta progressista è stata accolta nel Ceta, l’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Canada. Ci aspettiamo che gli Usa facciano lo stesso, ovvero che accettino l’idea di una Corte pubblica multilaterale. Con la globalizzazione degli scambi, serve anche quella delle regole. Su questo l’Europa tiene saldo il proprio ruolo: dobbiamo far valere i nostri principi e valori per il futuro“
E qui casca l’asino. Seppure è vero che il meccanismo delle corti “pubbliche” sembri in apparenza migliore, di fatto non è che un meccanismo per indorare la pillola. Come ammette la stessa Cecilia Malmstroem (Commissaria Europea al Commercio), la proposta creazione di questi tribunali europei non è che la risposta ad una richiesta di trasparenza da parte dei popoli europei, ed è formulata per creare fiducia nelle istituzioni. Il vice presidente della Commissione Frans Timmermans dice che si creerebbe un nuovo organo della UE, con “Giudici qualificati che agiscono sulla base di norme chiare“. Il documento chiarisce che l’intento è quello di formare una nuova istituzione simile alla Corte di Giustizia Internazionale o al corpo d’appello dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO).
A parole è tutto molto bello, ma come al solito fin dai tempi dei romani, l’uso del diritto avviene in funzione di chi esercita il potere: c’è infatti da chiedersi come mai queste Corti colpiscano determinati bersagli, ma non altri. Ad esempio la Corte di Giustizia Internazionale sta molto zitta sui milioni di morti fatti dalle potenze occidentali negli ultimi vent’anni. Anche sul corpo d’appello del WTO, da questo punto di vista, meglio stendere un velo pietoso.
Senza contare che le stesse “norme chiare”, poi tanto chiare non sono (ad esempio una multinazionale potrebbe citare uno stato per aver agito con “manifesta arbitrarietà“, ovvero, per aver fatto quello che uno stato ha pieno diritto di fare: farsi le leggi che vuole.
Chi volesse esaminare il funzionamento di queste Corti Pubbliche d’investimento può cliccare QUI
Appare chiaro che il Segretario Fekl, in fondo, sta solo dando un colpo al cerchio ed uno alla botte: da un lato lui ed Hollande cercano di farsi belli di fronte al loro svanente elettorato (viste le continue manifestazioni in Francia contro il loro equivalente del Jobs Act), dall’altro rassicurano quei poteri che spingono per il TTIP (e che li hanno messi al governo in Francia), tirando fuori dal cilindro la nuova pillola dorata da far ingoiare alle masse.
Insomma, Fekl in realtà sta dicendo: “Avete visto bambini? Non siamo tutti pazzi irresponsabili. State tranquilli che quando firmeremo il TTIP sarà solo perchè è vantaggioso per voi“, e nel dirlo si augura che in pochi vedano le dita che tiene incrociate dietro la schiena.
E i nostri fenomeni? Dormono?
Eppure sabato scorso, nel silenzio assordante dei media, c’è stata una dimostrazione a Roma che ha visto trentamila persone venire da tutta Italia per gridare no al TTIP. Non dovrebbero anche loro far finta di pensare a noi?
No. Da noi non ne hanno bisogno.
E’ vero che c’erano trentamila persone in piazza, ma non erano certo le 250mila di Berlino, e sicuramente non le centinaia di migliaia che occupano le piazze francesi da un mese.
La tecnica che usano da noi è diversa: mandano la Boschi in tv a dire una castroneria cosmica e, sui media e nei bar non si parla d’altro per una settimana…