ELOGIO DI CIÒ CHE VA IN FRANTUMI
di Claudio Tomaello
Tempo fa un sogno che coltivavo andò in frantumi.
Potevo disperarmi e ne avrei avuto tutte le ragioni. Oppure arrabbiarmi contro qualcuno e potevo anche scegliere tra il destino, me stesso o un’altra persona! Ma erano strade che avevo già percorso così tante volte in vita mia che le conoscevo alla perfezione e già sapevo dove mi avrebbero portato.
Avrei voluto, almeno per una volta, vedere un panorama diverso ma, come ama ripetermi un lupo che conosco, “se percorri una strada già segnata, non arriverai mai in nessun posto nuovo”.
Così provai a inoltrarmi in un sentiero sconosciuto.
Dopo i primi passi venne a trovarmi il ricordo di un articolo che riferiva di un episodio della vita di uno scienziato. Non ricordavo chi fosse, ma non era questo l’importante. Io lo immaginai così.
Dopo mesi di esperimenti volti a dimostrare la tesi che si era prefissato, dopo notti insonni passate a ragionare su granitiche leggi fisiche e inappuntabili collegamenti logici, lo scienziato riuscì a formulare una nuova brillante teoria, che gli diede una certa riconoscibilità internazionale.
Il tempo passò e la pelle dello scienziato non fu la sola cosa che invecchiò: anche la sua teoria, infatti, iniziò a mostrare delle crepe. Dapprima impercettibili, poi sempre più evidenti. Fino al giorno in cui un giovane ricercatore annunciò una nuova scoperta che incrinò definitivamente l’apparato teorico del nostro scienziato, mandandolo in frantumi.
Pover’uomo, era a terra.
Si guardò intorno e dentro, tentando di rappezzare i pezzi di formule e di anima che erano sparsi ovunque alla rinfusa. Poi respirò a fondo, raccolse solo ciò che gli sembrava necessario e si rialzò.
Qualche anno dopo, a un giornalista che gli chiedeva di quell’episodio, egli così rispose: “In quell’occasione scoprii che è bello avere torto. Grazie a quell’evento, infatti, mi spronai a cercare strade nuove che altrimenti non avrei mai percorso.”
Quel ricordo mi scaldò il cuore e mi diede la forza di continuare a esplorare il nuovo sentiero.
I miei piedi incontrarono terreni sconosciuti e la mia mente sconosciuti pensieri.
Di lì a poco, infatti, venni a conoscenza dell’arte giapponese del “Kintsugi”.
Immagina un vaso di ceramica. Immaginalo bello, prezioso, finemente decorato. Prova per un attimo a pensare quanto lavoro e quanta perizia siano state necessarie per crearlo. Il vaso è lì, in bella mostra, su un piedistallo, il cuore gioisce ad ammirarlo.
Ora immagina che quel piedistallo ceda.
Vedi il vaso che cade? Senti il suono dei suoi cocci?
Mentre li osservi, ti accorgi che per un attimo tutto è in frantumi, non solo il vaso.
Adesso, mentre noi restiamo immobili, affranti, dalle retrovie si muove una figura: è un omino discreto, occhi a mandorla, una borsa nella mano destra. Si avvicina ai cocci, si china su di essi, passa con attenzione il suo sguardo su ognuno.
A questo punto due cose diventano chiare: che quell’omino vuole riparare il vaso e che quell’omino è folle. Anche se incollasse tutti i pezzi, non potrebbe mai farlo ritornare integro!
Ma egli non si cura dei nostri pensieri e prosegue. Riavvicina tutti i pezzi e li dispone in modo ordinato, poi dalla borsa tira fuori una scatola e la apre.
Non contiene colla. Contiene oro.
Improvvisamente anche noi capiamo: quell’omino non vuole riparare il vaso, lo vuole valorizzare riempiendo le spaccature con l’oro! Egli sa che le ferite, se integrate, arricchiscono la storia di chi le ha subite.
E arricchente è per me continuare a camminare su sentieri inediti, aperto a nuovi incontri e nuove scoperte, con in cuore le parole dell’amico lupo: “L’arte più splendente è essere umani.”
Claudio Tomaello