Taranto: la scelta tra disperazione e malattia non è obbligata. Una soluzione c’è!
di Fausto Carotenuto
Disperazione nelle strade di Taranto con il rischio di esplosioni di violenza. I magistrati hanno finalmente chiuso l’Ilva, l’acciaieria che ha devastato il territorio e la salute della città e del suo mare, con effetti micidiali su un numero enorme di operai e cittadini. Ma ora un grande comprensorio, che vive di quella enorme fabbrica, tra lavoratori impiegati direttamente e indotto, si trova sul baratro della fame vera e propria. E per di più in tempi di grave crisi, quando una riconversione è ancora più difficile.
Ecco a cosa porta il “libero mercato” accoppiato ad una intensa attività di corruzione e di dispregio delle leggi esistenti. Alla creazione di piaghe enormi, che poi non si sa come risanare senza fare ulteriori danni.
Ma una soluzione ora bisogna trovarla comunque. Non si possono lasciare i tarantini a morire, o di inquinamento o di fame. O di tutti e due.
Naturalmente qualcuno deve pagare per questo disastro. Chi sono i responsabili?
I corrotti e i corruttori, e lo Stato che non ha sufficientemente vigilato.
E allora, mentre si processano i responsabili e si tira fuori la verità, lo Stato dovrebbe intervenire. Ed in solido con la società responsabile, dovrebbe assicurare il ripristino di condizioni ambientali accettabili per la vita dei tarantini e la riconversione della economia locale ad attività più sane. Ad esempio una fabbrica di bei treni per pendolari… o mille altre cose. Tutte certamente meno costose e più utili di una TAV in Val di Susa. E nel frattempo naturalmente occorrerebbe assicurare comunque un reddito dignitoso agli operai ed ai lavoratori dell’indotto che sono colpiti dal disastro provocato dalla mancata vigilanza e dalla corruzione.
E i soldi? I soldi ci sono, basta spendere un po’ di meno in armamenti. O anche stamparli… perché no?
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